L’alba del nuovo Podcasting: come monetizzare questa evoluzione di ascoltatori e piattaforme

21 Aprile 2023
Brian Balsamo

C’è parecchia confusione in superficie.

Provando a fare qualche veloce ricerca sul mercato dei contenuti audio, ciò che si trova è che il 2022 è stato “l’anno del podcasting”.

Eppure anche il 2021 lo era stato, quello prima ancora e “indubbiamente” lo sarà il 2023.

Ma è davvero così?

Noi stessi in Marketers abbiamo, gestiamo e teniamo attivi diversi podcast.

È un mercato di nostro interesse e volevamo capirci di più sulla sua attuale evoluzione (ovviamente per cavalcarla al meglio).

Perciò siamo andati a fondo e non ci siamo accontentati delle informazioni a cui si ferma la maggior parte degli utenti in rete.

Ecco qualche spoiler su cosa leggerai in questo Marketers Insight:

  • Nuovi trend d’ascolto: cosa dobbiamo sapere sui gusti dei nuovi ascoltatori
  • I fattori critici di successo dei podcast (anche italiani) migliori al mondo
  • Manuale pratico alle Podcast Ads: quanto, perché e come funzionano le più performanti
  • Gli effetti di un podcast sulle performance di un brand (tutti dovrebbero averne uno?)
  • Monetizzazione 2.0: i nuovi metodi dal mercato internazionale per scalare i guadagni di un podcast

E, come sempre, il tutto è condito da immancabili consigli pratici per applicare quanto scoperto.

Per i lettori abituali: Abbiamo condensato gli ultimi due capitoli tipici degli Insight finora. Ora ne troverai solo uno, cioè “Le coordinate da seguire”. La quantità di informazioni totale non è cambiata, l’abbiamo solo distribuita meglio in un unico capitolo finale.

Bene, iniziamo.

La rotta fin qui

Ce lo aspettavamo? No, siamo onesti.

I podcast devono la loro nascita a mamma Apple, che però, sembra, non avesse davvero pianificato di metterli al mondo. È andata così…

2001, il primo iPod appare sul mercato.

Improvvisamente l’idea di spostarsi agilmente per la città accompagnati da una colonna sonora diventa realtà, e grande trend.

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Questo è un esemplare generico di iPod. Se non ne hai mai visto uno prima, ecco com’erano, pischelletto/a.

Tant’è che qualche anno dopo, nel 2004, il conduttore di MTV Adam Curry e il software developer Dave Winer escogitano un piano per potenziare questi dispositivi allora limitati alla musica.

“Se di audio si parla, perché gli iPod dovrebbero ignorare una delle fonti di contenuti audio più seguita dell’epoca?”, si chiesero.

Quindi crearono due software che, in combo, avrebbero espanso la libreria riproducibile su un iPod con le registrazioni audio delle radio:

  • Il primo software era un aggregatore RSS in cui immagazzinare le più famose trasmissioni radio mandate in onda;
  • Il secondo, chiamato iPodder, poteva estrarre file audio da un feed RSS per trasferirli su un iPod.

Da lì, i programmi condotti in radio iniziarono a insinuarsi tra la musica offerta in questi rivoluzionari dispositivi Apple.

Nel febbraio di quello stesso anno il giornalista ed esperto di tecnologia Ben Hammersley pubblicò un articolo iconico sulla trasformazione della distribuzione dei programmi radio che Curry e Winer avevano innescato.

Citò l'ascesa dell'iPod, l'aumento di software di produzione audio fai-da-te e l'appetito dimostrato per il blogging che già dominava il web.

“Ci sono tutti gli ingredienti per un nuovo boom della radio amatoriale”, scrisse.

E, per l’occasione, propose una serie di possibili titoli con cui definire questa giovane ondata di contenuti radiofonici online: “Audioblogging? Podcasting? GuerillaMedia?”.

Indovina un po’, “Podcasting”, parola che è la fusione di “iPod” e “broadcast”, fu quella che alla fine vinse.ù

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Quando scrivi un articolo al volo su quello strano nuovo fenomeno tecnologico e, già che ci sei, gli dai pure il nome che il resto dell’umanità userà da lì a… per sempre!

Fu a quel punto che il podcasting iniziò lentamente ma inesorabilmente a prendere piede:

  • A ottobre 2004 emerse il primo fornitore di servizi podcast, Libsyn.com;
  • Prima della fine dell'anno, le ricerche su Google del termine “podcast” superano le 100.000 unità.

Colpo di grazie ufficiale, nel 2005 il New Oxford American Dictionary elesse il termine “podcast” come Parola dell'Anno, consolidando il suo status di trend emergente nei media.

Ma uno degli sviluppi più importanti del 2005 fu l’introduzione dei podcast sull’iTunes Music Store da parte di Apple (sì, sempre lei).

Come la prima scintilla partì da questa azienda, quindi, anche negli anni successivi i podcast sarebbero stati fortemente associati ad Apple.

Nel 2006, infatti, durante il suo discorso di apertura del Worldwide Developers Conference, Steve Jobs istruì un pubblico dal vivo su come creare il proprio podcast utilizzando il software gratuito GarageBand di Apple.

E queste iniziative non si fermarono fino al 2012, anno in cui Apple lanciò l’app Podcasts che, insieme a iTunes, divenne la principale piattaforma dove gli ascoltatori potevano trovare, scaricare e abbonarsi ai podcast. Spoiler, è ancora oggi una delle maggiori.

Nel frattempo nel panorama mondiale, una linea di demarcazione temporale importante fu il 2007…

Grazie alle enormi audience che stavano accumulando, i podcast uscirono ufficialmente da quello che si può definire un fenomeno di nicchia.

Dopo soli 5 anni dalla loro esistenza, la Edison Research riferì che il 43% degli americani aveva sentito parlare di podcasting.

L’apice fu raggiunto da Adam Carolla con il Guinness World Record per il suo podcast “The Adam Carolla Show”, con cui ottenne 59 milioni di download unici.

Negli anni a venire, però, sembrò che il mercato si fosse arenato…

Fu come se una parte consistente dell'industria del podcasting fosse stata superata da aziende mediatiche già affermate, che scavalcavano qualsiasi nuovo piccolo astro nascente.

La strategia di questi colossi consisteva nel riconfezionare trasmissioni radiofoniche e televisive popolari e pubblicarle sotto forma di episodi di podcast.

Uno stratagemma semplice, ma dannatamente efficace per dominare le classifiche, settimana dopo settimana.

Tuttavia, nulla avrebbe potuto preparare nemmeno gli esperti più preveggenti allo tsunami che si stava preparando all'orizzonte…

La storia dei podcast si divide qui. C’è un prima e un dopo il 2014.

La causa di ciò è proprio un podcast, il meglio riuscito fino ad allora, chiamato “Serial”.

Si trattava di un podcast di giornalismo investigativo, che seguiva la conduttrice, Sarah Koenig, mentre riapriva il caso di un omicidio del 1999 e svolgeva interviste per arrivare all’uomo che potrebbe o meno essere stato ingiustamente dichiarato colpevole.

Un format innovativo e accattivante, il primo a tal livello, che scatenò un’ondata di altri programmi true crime e divenne il primo a vincere un Peabody Award.

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Eccola a sinistra, Sarah Koenig che accetta il suo premio con l’umiltà che può avere la proprietaria di un podcast che ha fatto la storia della categoria.

Negli anni successivi a “Serial” il numero di persone che ascoltavano podcast non è cresciuto a un ritmo graduale o costante: gli ascoltatori sono cresciuti a valanga.

Da circa 39 milioni di americani a 90 milioni, quando fino ad allora la stessa metrica era cresciuta solo del 35%.

Nel 2019 inizia quella che viene definita “l’era dei grandi podcast”, con 165 milioni di persone che ormai avevano ascoltato almeno un podcast nella loro vita e 90 milioni di americani che ne completavano uno al mese.

Fu così che il podcasting, inizialmente celebrato per essere solo un mezzo democratico in cui i creatori indipendenti potevano condividere la loro voce, iniziò a seguire le orme di altri media mainstream.

Oggi non è difficile che un podcaster venga scelto per accordi esclusivi, contribuendo alla costruzione di un sistema che potrebbe presto rispecchiare le attuali guerre dello streaming cinematografico e televisivo.

Così, da quando esistono gli esseri umani, la narrazione si dimostra il mezzo di intrattenimento preferito.

Dai giorni in cui ci bastava riunirci attorno a un fuoco in una caverna, allo sviluppo della radio, dei film (non muti), della televisione in generale, di Netflix…

Le persone hanno trovato nuovi modi per comunicare efficacemente qualsiasi storia.

Oggi il podcast è il più giovane canale per la narrazione e lo scambio di idee, in termini di crescita e adozione di massa.

Ma, attenzione, giovane non vuol dire debole: in quanto strumento in formato audio che si fa forte dell’intimità che è capace di creare tra host e ascoltare, tipica di quelle stesse storie narrate vicini, attorno a un fuoco, il suo è un futuro promettente.

Possiamo dirlo anche così, a scatola chiusa, senza approfondire numeri e trend dei giorni nostri.

Ma siamo precisi, e ci piace essere strateghi razionali, quindi diamoci dentro.

La bussola del mercato

Innanzitutto dipingiamo il quadro della situazione.

Procederemo dal macro al micro, il che significa che presenteremo prima i numeri globali (tipicamente raccolti dalle performance del mercato americano) e poi quelli italiani.

Il valore complessivo del mercato dei podcast è cresciuto dai 20,14 miliardi di dollari del 2022 ai 25,85 miliardi di dollari del 2023 con un tasso di crescita composto annuo del 28,4%.

Il numero di ascoltatori di podcast in tutto il mondo dovrebbe girare attorno ai 464,7 milioni. Dall’anno scorso siamo – sì, ci inseriamo anche noi in questo gruppo – aumentati di oltre 40 milioni.

Volendo fare un paragone, significherebbe che oggi il 22% di tutti gli utenti di Internet è anche un ascoltatore di podcast.

Ma quali sono i Paesi con una concentrazione maggiore di amanti dei podcast?

Ce lo dice uno studio di Statista:

  • In Giappone solo il 5% della popolazione ascolta podcast;
  • Poi abbiamo Belgio, Marocco, Pakistan e Cina con un fiducioso 19%;
  • Germania, Russia, Sud Africa e India riportano ciascuno il 29%;
  • Mentre USA, Regno Unito, Canada e Australia si collocano sul 39%;
  • Quasi sul podio Brasile e Irlanda con un rispettabile 40%;
  • È la Svezia, però, il Paese (occidentale, ma anche in assoluto tra gli esaminati) con una media di ascoltatori più alta, ergo 47%.

E in Italia? Com’è la situazione da noi?

Non ci sono dubbi che i podcast siano cresciuti anche qui, sebbene ci sia una mancanza di dati specifici che renda davvero chiaro a quanto ammonti la crescita di recente.

Un’idea ce la siamo fatta comunque grazie a numerose ricerche: oggi in Italia ci sono circa 15,4 milioni di ascoltatori.

I veri fan italiani sono quelli che in media ascoltano dai 3 – 4 episodi al mese in sù.

Bilancia questo dato con il fatto che negli USA, dove il podcast è nato e ha avuto più tempo di farsi apprezzare, i veri fan sono quelli che arrivano ad ascoltare dagli 8 episodi al mese in poi.

Non significa che da noi i podcast non piacciono, ma semplicemente che l’adozione di massa non è ancora scattata.

Con il cambio di generazione, però, sta accadendo. Infatti ormai il 43% dei giovani italiani, sotto i 35 anni, ascolta regolarmente podcast.

E, in generale, il 50% degli ascoltatori italiani ama raccomandare i podcast ad amici e conoscenti. Questo è un parametro di diffusione importante.

E a proposito di diffusione, anzi di crescita in generale… come si sta muovendo il mercato?

Vediamone i maggiori trend.

Mercato in crescita, pubblico in evoluzione, nuovi creator… ancorati al passato (che succede?)

Si prevede che il mercato del podcasting si espanda con un tasso di crescita composto annuo del 31,1% dal 2021 al 2028 (fonte: PodcastIndex).

Di conseguenza, sono positive anche le proiezioni sul numero di ascoltatori futuro: entro il 2025 gli ascoltatori globali supereranno i 500 milioni, ovvero circa il 23,5% di tutti gli utenti di internet.

Ma oltre a questi valori, ciò che sta aumentando è proprio il consumo di questo format…

Secondo la ricerca “The infinite dial”, è proprio dal 2014 (anno importante come ti dicevamo all’inizio) che i contenuti audio digitali parlati hanno messo il turbo.

Da quell’anno al 2021 si è passati da un consumo del 4% al 20%, con il 59% degli ascoltatori italiani che mostra un elevato coinvolgimento con il medium, tanto – come vedremo dopo – da reagire in media sempre meglio alle pubblicità audio.

Tutto rose e fiori, però, non è. Ogni mercato è soggetto a cicli di impennate e cali, quello del podcasting non fa eccezione e, malgrado le previsioni, una specie di calo lo sta vivendo proprio ora.

Ma forse non è tutto da buttare ciò che puzza…

Il fatto è che il podcasting sta soffrendo di una mancanza di innovazione. Gli serve nuova linfa.

Lo diciamo perché, secondo le metriche di Listen Notes, il più grande motore di ricerca specializzato in podcast, i 10 podcast più ascoltati del 2022 sono stati programmi che esistono da anni.

La top 10 del 2021 racconta una storia simile.

Eppure il pubblico degli ascoltatori si sta evolvendo eccome nel tempo. Ciò darebbe ampio spazio di manovra per generare nuove idee, programmi innovativi e al passo con i desideri del pubblico.

Capiamo come incamminarci su questa strada del progresso, ok?

Questi dati sono oro:

  • Il 30% degli ascoltatori sceglie il podcast in base al personal brand del creator. Ciò significa che chi ha un pubblico, ha a priori la possibilità di sviluppare programmi che attirino ascolti senza troppi sforzi di acquisizione;
  • Per il 22% la padronanza della voce è molto importante. Ti stupisce? Non dovrebbe, visto il boom di format audio come gli ASMR. Dosare bene le pause, usare microfoni di qualità e pesare l’intensità delle proprie parole sono sforzi che possono premiare un creator con un seguito più appassionato;
  • Il 57% degli ascoltatori sceglie il podcast in base all’argomento. E, dobbiamo dirtelo, ci si sta allontanando sempre di più dal consumo disinteressato dei media classici. Ora chi segue un podcast lo fa principalmente per imparare di più sulle notizie e gli eventi attuali (38%) e per imparare nuove cose (32%). Solo il 28% li segue per puro divertimento e intrattenimento;
  • Il 38% degli ascoltatori usa i podcast per migliorare il proprio umore. Alleviare lo stress, che sia attraverso la meditazione guida, la narrazione di storie proposte come fossero libri o il supporto relazionale. Riguardo l’ultimo, in particolare, si registra un aumento della domanda pari al 145% rispetto all'anno precedente;
  • Il 15% degli ascoltatori sceglie il podcast in base alla sua durata. “Dan Carlin’s Hardcore History” è il podcast con gli episodi più lunghi della storia, da 3 a 6 ore per episodio. Bello, ma oggi funzionerebbe? Mh, dipende. Considera che la maggioranza (86%) ascolta mentre si sposta da una meta all’altra, a piedi, in auto o sui mezzi pubblici. E 3 su 4 ascoltano in multitasking, mentre fanno altro che non li impegni mentalmente.

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Il sito di Dan Carlin è epico quanto la durata degli episodi del suo podcast (forse anche di più).

Ora prendiamo un attimo gli Stati Uniti, che sono sempre un riferimento prezioso da cui imparare.

Lì gli ascoltatori di podcast hanno una probabilità del 20% in più di aver frequentato il college.

Sapendo questo, non dovrebbe sorprendere che molti di loro vogliano usare i podcast come modo per imparare, restare informati e trovare ispirazione.

Proprio durante l'epidemia di COVID-19 si è registrato un forte aumento dell'ascolto dei podcast educativi.

In più gli spettacoli di questo genere tendono a essere basati sulla ricerca accademica, che, guarda caso, il 40% degli ascoltatori desidera esplicitamente.

Ed è vero che abbiamo introdotto il tutto posizionando la lente sugli USA, ma poco cambia.

In Italia, al di là della partecipazione universitaria, le nuove generazioni sono comunque native digitali e, in quanto tali, è più che dimostrato che abbiano un senso critico maggiormente sviluppato riguardo le informazioni che consumano.

Poi, a dirla tutta, persino nelle università europee si nota questa tendenza.

Basti pensare al fatto che le iscrizioni alle università telematiche abbiano fatto un x2 nel 2022 e in queste una delle modalità di insegnamento a distanza preferite consiste proprio nel dare il materiale di studio in formato podcast.

Il mercato sta maturando, ma la maggioranza dei nuovi podcaster non lo ha capito ancora.

Da quali podcast, allora, si può imparare?

Alcuni di questi li vediamo subito, altri ci serviranno più avanti per approfondire specifici concetti.

Procediamo.

“The Tim Ferriss Show” di Tim Ferriss

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Ehi, questo qui ha una faccia familiare. Dovremmo aver letto un paio di suoi libri, sì, in gamba.

È uno dei podcast più famosi al mondo, con più di 900 milioni di download.

Il suo successo sta nel fatto che sia associato a un forte personal brand, quello di Tim Ferriss appunto.

Ma non è da ignorare nemmeno il timing di ingresso nel mercato: il suo podcast è stato il 1° programma a portare interviste su Apple Podcasts.

Andando alla struttura del podcast, in media pubblica 2 episodi a settimana, ma in generale ha un programmazione poco regolare.

Quest’ultima diventa un male davvero minore nel contesto in cui ogni episodio, per quanto pratico, parli di argomenti diversi che possono interessare audience diverse.

Ogni episodio dura in media più di 1h 30m, tanto, ma d’altro canto è altamente formativo, aspetto ideale per invogliare l’ascolto al di fuori dei tempi di percorrenza degli ascoltatori.

È questa la differenza rispetto ai podcast di mero intrattenimento, per i quali esiste spesso solo un ascolto disinteressato, davvero sempre in multitasking.

Secondo i dati online, Ferriss guadagna da ogni suo episodio 108.000$ grazie alle collaborazioni strette con i brand, per i quali inserisce 2 annunci in ogni sua puntata.

“The Essential” di Will Media

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Fa parte della routine mattutina di moltissimi italiani ormai. Dopo la sveglia, il secondo suono ad assaltare le nostre orecchie è la voce di Mia Ceran.

È il podcast più ascoltato del 2022 in Italia secondo lo Spotify Wrapped dello stesso anno.

Rientra nella categoria dei podcast di attualità, che rispondono al desiderio – crescente, come abbiamo visto – di chi vuole aggiornarsi ogni mattina in pochi minuti, anche mentre fa altro.

Ogni puntata, infatti, ha una durata studiata, intorno ai 5 minuti, per dare il punto veloce della situazione sugli eventi più importanti scelti dalla redazione di Will. Ogni giorno, tranne la domenica.

Il fine di business del podcast di Will non è stringere collaborazioni specifiche. Tendono più a monetizzare i loro contenuti affidandosi al sistema di advertising pubblicitario automatico di Spotify, con cui per di più hanno stretto un accordo di esclusività.

Proprio a causa dell’accordo probabilmente non sarà questo il caso, ma su Spotify, per esempio, nel 2022 i guadagni in Italia erano pari a 70€ per ogni 1000 ascolti più il 70% del ricavato dalla pubblicità e dall'abbonamento alla piattaforma.

“Huberman Lab” di Andrew D. Huberman

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Uno dei podcast preferiti di Dario. Ecco da dove nasce la fissa per il biohacking.

Qui si parla nello specifico di neuroscienze, ergo come il nostro cervello e le sue connessioni con gli organi del nostro corpo controllano le nostre percezioni, i nostri comportamenti e la nostra salute.

Si discute anche degli strumenti esistenti ed emergenti per misurare e modificare il funzionamento del nostro sistema nervoso.

Gli episodi, precisamente 2 alla settimana e della durata variabile di diverse ore, rientrano nella stessa categoria del podcast di Ferriss per il loro carattere formativo e i temi destinati a un pubblico interessato allo sviluppo personale.

Certo, qui si prende una piega decisamente più scientifica.

Ogni episodio di Huberman è sponsorizzato da diversi brand, tutti citati nella descrizione della puntata.

Non abbiamo trovato dati sulle specifiche performance del business, ma, visto il numero di sponsor, è chiaro che si punti sulla quantità, a un prezzo relativamente contenuto.

“PsiNel” di Gennaro Romagnoli

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Se non ti calma la voce di Gennaro dopo una giornata iper-stressante, non sappiamo davvero come aiutarti. Ma per fortuna non facciamo gli psicologi.

È il primo podcast italiano di psicologia e crescita personale, attivo dal 2013.

Gli episodi hanno una lunghezza variabile, da 20 minuti a più di 1 ora. Questa durata variabile, però, è strategica.

Infatti negli episodi più brevi condensa risposte a specifiche domande di crescita personale che raccoglie dai suoi altri canali, mentre in quelli più lunghi avvicina gli ascoltatori a pratiche di meditazione guidata che rispondono alla crescente esigenza di sessioni audio anti-stress.

Così facendo riesce a mantenere il suo brand a contatto con il pubblico in momenti diversi della giornata, migliorando la retention.

E proprio la retention per lui crediamo sia un parametro chiave dato che il suo podcast ha il principale obiettivo di potenziare il suo personal brand, evitando sponsorizzazione esterne.

YouTube sta rubando la scena a Spotify (e noi possiamo approfittarne)

Per anni Spotify ha lottato testa a testa con Apple Podcast per il trono del mercato.

A oggi l’ha ormai superata di diversi milioni di ascoltatori (32.5 contro i 28.5 milioni di Apple) grazie a una serie di mosse commerciali strategiche.

Nel 2019 ha acquisito l'importante studio di podcast Gimlet Media, responsabile di programmi incredibilmente popolari oltreoceano come “StartUp”, “Reply All” e “Crimetown”.

Ha inoltre acquistato la piattaforma di creazione di podcast Anchor e la società di produzione di podcast Parcast.

Insomma, ha messo mano al portafogli, ma tutto in preparazione di ciò che sarebbe arrivato dopo.

Nel 2020, infatti, ha firmato una partnership esclusiva con il podcaster indipendente che vanta un pubblico più vasto e più ingaggiato di qualsiasi altro content creator al mondo, Joe Rogan.

Lui avrebbe tenuto il suo programma solo su Spotify per 3 anni e mezzo (o, almeno, questa è la durata dell’accordo attuale), ignorando altre piattaforme di podcasting come quella di Apple, e in cambio l’azienda l’avrebbe pagato 200 milioni di dollari.

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Magari davanti alla proposta da 200 milioncini la faccia non era proprio questa. Speriamo.

Ciò ha dato il via a una migrazione di ascoltatori che ha dato a Spotify il primato nonché l’occasione per iniziare a creare dei programmi proprietari. Come Netflix fa per le proprie serie, per capirci.

Ora, secondo i dati su Listen Notes, nel 2022 sono stati pubblicati oltre 25 milioni di nuovi episodi di podcast, ma la cosa curiosa è che tale enorme numero sarebbe calato dell’80% rispetto all’anno precedente.

Il motivo?

Un’analisi del Podnews suggerisce che sia dovuto proprio all’ampliamento di Spotify, che sta continuando a stringere accordi enormi per incorporare interi programmi nel suo network e portare avanti solo i migliori.

A ogni modo, nel frattempo. lo spazio per altre piattaforme sembra esserci comunque.

Secondo uno studio nazionale di Westwood One, l’ascoltatore medio negli USA ne adopera quasi 3, fino agli ascoltatori incalliti (quelli che fanno +6 ore di ascolto a settimana) che arrivano a usare anche 4 servizi diversi.

Parliamo di Anchor, TuneIn, Pandora, Podchaser, iHeartRadio, Amazon Music, Google Podcasts, ognuno che muove investimenti mirati alla creazione di podcast originali o di funzioni uniche che possano distinguerlo dagli altri.

Funzioni come l'accesso a podcast esclusivi sbloccabili tramite un abbonamento o l’aumento della velocità d’ascolto ottenuta eliminando le pause.

In questo contesto è una, però, la piattaforma, non ancora menzionata, che sta facendo tremare sia Spotify che Apple…

Secondo uno studio condotto dall'agenzia Luminate sui consumatori di podcast di età superiore ai 13 anni negli Stati Uniti, il 78% di loro ormai usa YouTube.

Una proporzione che, come spiega The Verge, colloca YouTube davanti a qualunque altra piattaforma di podcasting negli Stati Uniti.

Ma come è possibile? Cosa c’entra YouTube con il mondo dei podcast?

Va innanzitutto evidenziato che YouTube, solo negli USA, ha lanciato in test una sezione del suo servizio apposta per i podcast. Si chiamerebbe YouTube Podcasts, appunto.

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In Italia non possiamo ancora vedere la pagina. A patto di fare qualche giochetto con le VPN per fingersi un fidato cittadino americano 😈

Questa nuova sezione del Tubo è stata subito ampliata con il format principale della piattaforma, i video: ogni podcast, oltre all’audio, è accompagnato da una registrazione visiva.

Così a oggi gli ascoltatori americani che i podcast li guardano sono diventati il 59% L'aspetto video sta diventando sempre più importante per la fruizione dei podcast.

Spotify e Apple lo hanno compreso al costo di venire superati.

Però magari te ne sei già accorto: stanno correndo ai ripari, iniziando anche loro a implementare questa combo “audio + video” nelle loro piattaforme.

E di podcaster che si sono lanciati a sfruttare la combo ne abbiamo diversi, molti ormai anche in Italia.

Questi sono i più interessanti, a livello globale.

“The Joe Rogan Experience” di Joe Rogan

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Senza ombra di dubbio una delle nostre puntate preferite.

Lo abbiamo citato ed eccolo qui, il podcast dei podcast, ora tra le esclusive internazionali di Spotify.

Ogni episodio viene scaricato oltre 190 milioni di volte al mese. Un risultato raggiunto, attenzione, in gran parte organicamente.

Il nome di Rogan aveva già un peso prima che il podcast prendesse il volo, ma lo aveva più in una nicchia, in quanto commentatore degli incontri di arti marziali.

Vi è uscito, da questa nicchia, con dei contenuti più generici, approfonditi (fino a circa 4 ore di durata), gestiti a modo di intervista con personaggi di spicco che in cambio ricevono sempre un prezioso shout-out.

Come può funzionare pur essendo ogni episodio così lungo?

Il format è senz’altro uno dei più crudi, senza filtri e coraggiosi nati sul web, così come uno dei primi.

Nel suo caso, un timing vantaggioso si è trasformato in un pubblico fidelizzato che, con i numeri attuali, non fa che attirarne di più.

Nonostante l’esclusività concordata con Spotify, l’accordo deve prevedere l’uso di altre piattaforme di distribuzione per micro-contenuti estratti dagli episodi del suo podcast.

Infatti sul suo canale YouTube è possibile trovare sempre nuove clip dalle sue puntate, che di certo fanno da eccellenti mezzi di acquisizione e di retention per i 14,2 milioni di iscritti.

“Muschio Selvaggio” di Fedez e Luis Sal

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Ma scherziamo? Uno degli studi più fighi ce l’hanno loro. Tavolo triangolare, muschio alle pareti… ci basta questo.

È forse il podcast italiano più simile a quello di Joe Rogan.

Infatti ogni puntata ospita almeno un personaggio, oltre agli host Luis Sal e Fedez.

Viene intavolato ogni volta un argomento interessante da approfondire, di cui discutere con critica, ma sempre abbinando imprevedibili momenti umoristici.

Umorismo che parte dal titolo iconico di ogni puntata, creando hook in linea con lo stile dei padroni di casa.

Anche la durata segue lo stesso filone di Rogan, seppur in modo più contenuto, con episodi che vanno dai 30 minuti a poco oltre 1 ora.

Questo podcast non è un’esclusiva Spotify, tant’è che lo ritroviamo pubblicato anche su YouTube direttamente come video, ad accumulare views e guadagni che secondo il sito YouTubers.me sono di circa 5000€ al mese.

Il progetto in sé dispone anche di un proprio sito web su cui viene venduto del merchandising, ma ci sembra poco sfruttato già solo per la tipologia di prodotti all’interno.

Crediamo che l’entrata maggiore provenga dagli sponsor, che investiranno per essere presenti come ospiti della puntata, a parlare di temi vicini a quelli del loro brand.

“Cachemire” di Edoardo Ferrario e Luca Ravenna

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Eccolo il beneficio massimo del video-podcast… quei due lì in fondo sono la Gialappa’s.  Allora le leggende erano vero: hanno anche un corpo, non sono solo voci.

Due stand up comedian inseritisi in un apparente contesto di serietà.

Nel loro podcast, Edoardo Ferrario e Luca Ravenna, esplorano diversi temi di attualità, ma sempre con la loro ironia inconfondibile.

A volte da soli, altre condividendo il microfono con degli ospiti. Nel loro caso l’intervista è l’eccezione, più che il format costante come nei casi precedenti.

Pubblicano un episodio a settimana, con la durata massima di circa 1 ora e 30 minuti.

Anche loro, non esclusiva Spotify, sono presenti a bomba anche su YouTube con i loro 88.700 iscritti e le puntate stavolta pubblicate per intero.

La massimizzazione dell’uso delle piattaforme resta un must per i podcaster (quanto per i creator in generale) senza contratti di esclusiva.

“Un VERO Podcast” di CerberoPodcast

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Chiamateli pure i “tre dell’apocalisse”. Tanto, se conoscete il loro commento senza peli sulla lingua, sapete che è vero.

Da pochissimo su Spotify, la prima puntata è del 10 febbraio 2023.

Questo gruppo, però, fa in realtà podcast da molto tempo, concentrandosi su un canale un po’ atipico per la media dei podcaster.

Ed è proprio che è possibile vederli all’opera con un format tanto audio quanto video.

Infatti gli host, “YouTube Fa Cagare”, “Mr. Flame” e “Mr. Marra”, sono in realtà dei Twitch podcaster con un guadagno medio totale di 10.000€ al mese.

Li troviamo in live alle 15:00 e alle 21:00, ogni giorno tranne il sabato (solo alle 15:00) e la domenica (pausa totale).

Fanno salottino anche per 3 ore di fila, parlando di temi d’attualità e non, tutto con un caratteristico tono di voce maturo, ma secondo molti spietato.

Sul canale hanno 336.535 follower, su YouTube, dove spesso ricaricano le live intere o i singoli spezzoni più interessanti, contano 190.000 iscritti.

“Tutte le volte che” di Camilla Boniardi e Alice Venturi

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La telepatia esiste? Perché se esiste, loro la usa chiaramente per leggere nella mente degli ascoltatori. Nemmeno il tempo di pensare a una domanda che arriva la risposta.

Ecco un esempio di podcast originale Spotify tutto italiano.

A fargli da host sono Camilla Boniardi e Alice Venturi, due amiche content creator, la prima anche scrittrice e la seconda esperta di make up.

Il loro spettacolo è un esempio di intrattenimento adattato alla crescente domanda formativa.

In ogni episodio mescolano l’umorismo di chi vive eventi tipici delle routine di massa a spiegazioni interessanti che rispondano alle domande e curiosità plausibilmente sorte nel pubblico.

Nel farlo difficilmente superano i 30 minuti di durata e mantengono una pubblicazione a settimana, tranne per serie speciali come “Tutte le volte che (edizione Sanremo)” in cui sono andate online ogni giorno.

E con eventi di massa come il Festival, dobbiamo sottolinearlo, è giusto battere il ferro finché è caldo.

Anzi, è giusto farlo periodicamente al di là che ci sia un evento unico o meno, creando nuovi format che possano portare freschezza nella costanza e migliorare così la retention del proprio pubblico.

Vale la pena investire in Podcast Ads?

Immagina per un attimo di star guardando un video su YouTube.

3,2,1… ti parte uno di quegli annunci automatici.

È più probabile che tu lo guardi per intero o che, se ce n’è la possibilità, lo salti senza pensarci due volte?

Anzi, non rispondere, lo sappiamo già.

Il team di VOIS, una Podcast Creators Company tutta italiana di cui potresti aver già letto la storia nel nostro format Humans Of Marketers, ci ha fornito gli utili dati da qui in poi.

Ebbene, solo il 20% degli ascoltatori salta le pubblicità nei podcast, mentre nel caso delle pubblicità online la cifra arriva a toccare il 36%.

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Beh, podcast 1, tutti gli altri 0.

Il fatto è che le pubblicità in podcast interagiscono con l’utente senza essere intrusive.

In media infatti, la densità pubblicitaria in un podcast comprende al massimo il 5% di un episodio – molto inferiore ad altre categorie di media.

E, arrivando alla ciccia, la pubblicità in podcast ha il merito di portare gli ascoltatori all’azione con incredibile facilità.

Secondo i dati Ipsos 2022 per l’Italia, infatti, non solo il 71% degli utenti ricorda di aver ascoltato messaggi pubblicitari abbinati ai podcast, ma il 50% ha addirittura compiuto un’azione dopo aver ascoltato una pubblicità in podcast.

Azioni che nel pratico coincidono con:

  • Cercare maggiori informazioni sul brand (22%);
  • Promuovere il brand tramite il passaparola con amici e conoscenti (20%);
  • Completare il processo con un acquisto (15%).

Questi dati, inoltre, suggeriscono un aumento di spesa in Podcast Ads, che, in effetti, c’è stato.

A riportarlo è proprio Spotify che, con il suo primato mondiale in termini di ascoltatori, ha costruito un network di advertising che sta dimostrando davvero un bel potenziale.

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Infografica e relativi dati gentilmente offerti proprio da Spotify.

Tant’è che è stato possibile filtrare le maggiori nicchie di investimento per i Paesi che più di tutti mettono mano al portafoglio su questo mezzo:

  • Francia, Australia, Regno Unito e Stati Uniti sono i principali interessati al settore salute e allenamento che investono in Podcast Ads;
  • La Germania ha il primato nella nicchia della narrazione di storie e nella formazione che ci gira attorno;
  • In Italia sembriamo essere particolarmente interessati alla crescita personale, anche legata alla spiritualità;
  • La Spagna è dove la musica vive, al punto che anche il mercato del podcasting che ruota attorno a quel settore si concentra lì.

A dire il vero, sono diversi gli inserzionisti che stanno riconoscendo il potere di questo mezzo per scalare il proprio business.

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Vabbè, lo stile della grafica è quello. Si capisce che viene sempre da Spotify, no?

Se i primi investitori in Podcast Ads erano grossi marchi Tech, aziende CPG e colossi dell’intrattenimento, nel 2022 abbiamo assistito all’entrata in campo di nuovi giocatori:

  • Gli inserzionisti del settore B2B hanno incrementato la spesa pubblicitaria in media del 1254% rispetto all’anno precedente;
  • Nel settore del turismo e dello svago lo stesso valore è aumentato del 362%;
  • In quello medico e farmaceutico hanno spinto con un +244%.

È tutto un effetto domino in cui il maggior consumo di podcast sta attirando maggiori investimenti pubblicitari e questi stanno a loro volta inducendo le piattaforme a lavorare per semplificare il lavoro degli inserzionisti.

Davvero, le Podcast Ads sono sempre più facili da creare, lanciare, testare.

Come puoi leggere anche sul loro sito, vois.fm, in VOIS si concentrano su 2 tipologie di soluzione pubblicitarie che si confermano essere le più remunerative per i brand.

Approfondiamole.

Host-Read Ads

Si tratta di inserzioni pubblicitarie dinamiche, lette e interpretate dal proprietario del podcast.

Nel pratico, sono audio da 60-90 secondi in cui il conduttore legge, utilizzando il suo tono di voce e stile, un messaggio pubblicitario del brand.

La leva di marketing che si crea è quella del trasferimento di valore, per cui il podcaster trasferisce al brand tutta l’autorità e l’affidabilità percepite dal proprio pubblico.

Il tutto con un messaggio commissionato che agli ascoltatori suona più come un consiglio personale, soprattutto perché inserito in modo tale da amalgamarsi perfettamente allo show.

Lato tecnico, questi annunci vengono gestiti tramite un sistema di Dynamic Ad Insertion, che permette di inserire automaticamente il messaggio in tutti gli episodi selezionati, per il periodo di tempo previsto dalla campagna.

Dati alla mano, le Host-Read Ads rappresentano la soluzione pubblicitaria più efficace del Podcast Advertising.

Risultano essere il format migliore per portare gli ascoltatori ad approfondire il prodotto del brand e producono un aumento medio del 50% nell’intento di acquisto rispetto alle non-Host-Read Ads.

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Un grafico pulito che si spiega da solo, datoci come assist dal team di VOIS.

Indubbiamente questi annunci risultano essere molto interessanti per i brand esattamente per le stesse ragioni per cui lo sono per loro le collaborazioni con gli influencer.

E in effetti puoi vedere le Host-read ads come una sorta di influencer marketing in versione podcast.

In cui si combina tanto la scalabilità che offre la tecnologia di Dynamic Ad Insertion, tanto la forza comunicativa dell’host del podcast.

Ma il fatto che le Host-Read Ads performino meglio non significa che le altre pubblicità in podcast non funzionino.

Ecco un diverso formato consigliato.

Spot Ads

Le Spot Ads sono delle inserzioni pubblicitarie dinamiche registrate da uno speaker esterno.

Si tratta dunque di messaggi audio pubblicitari pre-registrati dal brand o dall'agenzia.

Particolare attenzione in fase di registrazione sta nello sviluppare il messaggio affinché sia in linea con il modo di comunicare del podcast e con il suo pubblico.

Questa caratteristica, come nel caso delle Host-Read Ads, è davvero in grado di fare la differenza tra delle inserzioni performanti e altre inefficaci.

Il modus operandi per questi annunci consiste nel registrare una volta l’annuncio e poi distribuirlo dinamicamente all'interno dei podcast target tramite la piattaforma di advertising.

Ogni piattaforma permette di scegliere specifici tipi di posizionamento, a cui è associato un CPM (Costo Per Mille ascolti) diverso:

  • Pre-roll (all'inizio dell'episodio);
  • Mid-roll (a metà);
  • Post-roll (alla fine).

Tipicamente la parte iniziale di un contenuto, più o meno il suo 25%, è considerata la migliore per inserire annunci pubblicitari che raggiungano quante più persone possibile.

Nonostante questo ragionamento, l’asta per gli annunci mid-roll tende a costare di più che per gli annunci pre-roll.

Questo perché, come notato da BluBrry, è più probabile che le persone saltino gli annunci che vengono riprodotti all'inizio di un podcast rispetto a quelli che vengono riprodotti nel mezzo.

In altre parole, un annuncio mid-roll in genere raggiunge i membri più coinvolti o ricettivi di un determinato pubblico di podcast.

Risultano essere, in media, quelli che convertono meglio, ma non quelli con più copertura.

Pertanto, nella battaglia tra mid-roll e pre-roll, dovrai trovare un equilibrio tra il tuo budget e il pubblico del podcast che desideri raggiungere per generare un’alleanza davvero efficace.

I post-roll puoi testarli, ma non abbiamo trovato dati a loro supporto. Finito l’episodio di un podcast, niente convince gli ascoltatori a restare ad ascoltare anche l’annuncio.

In ogni caso, se vuoi approfondire il funzionamento tecnico di tutte queste Ads, potrebbe interessarti la nostra guida a Spotify Ads.

Tempo fa abbiamo studiato la piattaforma per testarla e lo abbiamo fatto di recente con il lancio del progetto “Pilates con Denise” di Denise Dellagiacoma, fondatrice di Yoga Academy.

Le ads che abbiamo lanciato, però, non fanno testo nello specifico a questo Insight perché ci concentrammo sul posizionamento in playlist musicali invece che podcast.

Ma le meccaniche della piattaforma coincidono tra i due posizionamenti, per cui rimane una guida affidabile. Parola di scout.

Quanto impattano i contenuti audio sulla forza del tuo brand?

Eravamo al Marketers World 2019 quando parlammo per la prima volta di questo concetto.

Sul palco c’era Maurizio Cascio, socio di Marketers in Onlab, il nostro studio di Brand Design Experience.

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Ecco un piccolo Maurizio su un grande palco targato Marketers World ‘19. Bei tempi quelli.

Avere un brand, dicemmo, uno di quelli immemorabili per la sua audience di riferimento, significa molto di più che avere un semplice logo associato alle proprie comunicazioni.

Lo sanno bene tutti quei brand che hanno visto il proprio impatto comunicativo moltiplicarsi semplicemente dando un volto alle proprie parole.

Ecco, un risultato simile oggi lo stanno avendo quelli che in questo Insight abbiamo chiamato ironicamente “Sonic Brand”.

Sono tutti quei brand che ai propri sforzi contenutistici stanno affiancando contenuti audio, in particolare una o più voci, proprio tramite podcast strategici.

L’impatto sul pubblico è evidente:

  • L'81% degli ascoltatori afferma che, se un'azienda che seguono producesse un podcast, lo ascolterebbe;
  • Il 64% della popolazione ritiene che i podcast rafforzino la memoria del brand nella loro testa;
  • Il 37% considera il podcast il modo migliore per entrare in contatto con le aziende.

Così si vedono sempre più brand beneficiare dal mercato del podcasting, grazie alla realizzazione di podcast a scopi aziendali definiti Branded Podcast.

I fini di marketing di questi spettacoli possono andare dalla promozione dei valori del brand a più mirati tentativi di potenziare le vendite di un nuovo prodotto.

In un programma audio del genere, però, l’ideale è sempre evitare markette e concentrarsi sul creare una relazione intima, autentica e profonda con i consumatori – e quindi ascoltatori.

Non scordiamoci del resto che per il 44% delle persone i podcast sono un argomento di conversazione. E conversare del podcast di un brand significa conversare del brand stesso.

Vediamo degli esempi d’ispirazione di podcast che possono essere definiti Branded.

“Beyond Sound” di Webuild

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Vorremmo fare un applauso alla creatività dietro questo podcast, ma tanto lo sanno già di essere in gamba. Hanno pure vinto un premio, come leggerai tra un po’.

Per chi in un cantiere edile non ci lavora, può risultare difficile vedere queste strutture in altro modo se non come ostacoli sul proprio tragitto durante uno spostamento.

Facciamo fatica a capire cosa succede realmente al loro interno e spesso non ci poniamo nemmeno la domanda.

Da ciò parte la volontà di sviluppare un podcast di Webuild, una delle più importanti realtà italiane nel settore delle costruzioni.

E che podcast potrebbe mai lanciare una realtà del genere? Il team di VOIS li ha aiutati a realizzare un Branded Podcast coi fiocchi.

L’obiettivo era raccontare quello che si cela dietro la costruzione di una grande opera, partendo proprio dai cantieri e dai suoni che li caratterizzano.

Così è nato “Beyond Sound”, un podcast che narra le storie di ingegneri e geometri che dedicano anni della loro vita a progetti che poi verranno usati da migliaia di persone per i decenni a venire.

Il podcast è caratterizzato dall’assenza di un host. Sono i suoni, le voci e i rumori raccolti nel cantiere a divenire essi stessi il filo conduttore del racconto.

Una scelta stilistica ben mirata che rafforza l’identità documentaristica del podcast, come se ci trovassimo di fronte a un audio documentario.

Tra i risultati ottenuti l’indice di retention d’ascolto, ovvero di permanenza media degli ascoltatori, è di sicuro il più importante ed elevato: oltre il 65% per episodio.

Il podcast ha anche vinto il premio come miglior branded podcast dell’anno alla prima edizione de “Il pod”, l’Italian Podcast Awards, cioè il premio dedicato ai migliori podcast italiani.

E ce ne sono di altri particolari Branded Podcast italiani come questo che potrebbe stupirti per la loro solo esistenza. Diciamolo, alcuni brand è difficile immaginarseli a fare podcast.

Eppure funzionano e il team di VOIS ci hanno fornito qualche altro esempio che ha contribuito a sviluppare e da cui si può prendere spunto:

  • “The Spiritheque” di Campari. È una serie di racconti pensata per narrare le storie di brand storici che fanno parte del Campari Group, come Aperol, Crodino, Zedda Piras;
  • “Shop small, great stories” di American Express. È una serie di 8 racconti, parte di un progetto per dare sostegno alla micro-imprenditoria italiana. All’interno si narrano le storie di piccoli imprenditori italiani che mantengono alta la bandiera del Made In Italy nel nostro paese;
  • “Cose Fatte Bene” di Wurth. 6 storie sull’inventiva umana, veicolate tramite l’esplorazione degli elementi naturali. Elementi ai cui classici l’autore aggiunge il Legno e il Metallo, tipici di quei prodotti ferramentistici che il brand vende.

“The Expert Journey” di Dario Vignali e Andrea Giuliodori

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Loro li conosci? Ogni tanto fanno contenuti fighi.

Riprendiamo quello che ci hanno suggerito i dati visti prima a proposito del rapporto tra un brand e il suo podcast.

I contenuti audio, oltre a rafforzare il posizionamento del brand stesso, possono avere anche un impatto diretto sulle vendite.

Non dovrebbe stupire che allora possano nascere podcast che facciano parte di specifiche strategie di lancio, o comunque pensati per dare una spinta evergreen alla vendita di specifici prodotti.

L’esempio in questione, dato che stai leggendo questo Insight, magari lo conosci…

Parliamo del podcast “The Expert Journey” che Dario e Andrea Giuliodori hanno realizzato per il lancio dell’omonimo video corso.

Lo stratagemma che lo ha coinvolto sfrutta a pieno la struttura a scalini della strategia a lanci, in cui, man mano che ci si avvicina alla data d’uscita del prodotto, l’hype del pubblico verso lo stesso dovrebbe aumentare.

Come farlo aumentare? Il centro della strategia sta nel definire questo.

Per quello specifico lancio la nostra idea fu di spostarci, anche solo per testarlo, su un canale completamente audio e realizzare un podcast di 6 puntate, pubblicate circa una al giorno per una settimana.

Come puoi ascoltare, dato che abbiamo lasciato il podcast disponibile come eventuale punto di contatto evergreen, ogni episodio forniva una lezione teorica e pratica che avvicinava il pubblico al tema che poi si approfondisce nel corso.

Il tutto sfruttando un classico aggancio a puzzle.

Cioè un ulteriore stratagemma per cui l’hype crescente esplode a trasformarsi in azione (plausibilmente una vendita) quando l’utente realizza di avere inquadrato la soluzione al suo problema ma non ha tutti i pezzi per poterla risolvere nel migliore dei modi.

Sia in termini di velocità, quanto di fatica, che di qualità del risultato finale.

“The Light Podcast” di Michelle Obama

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La “First Lady” di certo non se ne sta con le mani in mano. Anzi, ci dà un interessante caso di cui parlare.

Un podcast puoi usarlo a supporto delle vendite come ti abbiamo fatto vedere nel nostro esempio di prima, o puoi usarlo come la signora Obama.

Il suo programma “The Light Podcast” debutterà esclusivamente su Audible il 7 marzo 2023 per due settimane, poi diventerà disponibile anche sulle altre piattaforme.

Saranno formato da 8 puntate nelle quali verranno approfondite le storie di celebrità come Ellen DeGeneres, Tyler Perry, Conan O'Brien, Oprah Winfrey, Gayle King, Hoda Kotb, David Letterman.

Tutti personaggi che, guarda caso, ritroviamo anche nel nuovo libro della signora Obama, “The Light We Carry: Overcoming in Uncertain Times”.

Esatto, il libro non è stato lanciato con il podcast, è già disponibile. Tant’è che è il podcast che si collega al primo per espandere le storie dei personaggi intervistati al suo interno.

Nel fare questo, una strategia di vendita la si può intravedere, giusto? Il podcast diventa espansione del contenuto del libro.

Chi lo ha letto, troverà nuovi contenuti (in formato audio) dalla stessa autrice e sugli stessi temi. Ergo, la retention dei clienti si alzerà.

Chi non lo ha letto e seguirà il podcast, arriverà inevitabilmente a scoprire anche il libro. Ergo, bonus alle vendite.

“Cose Molto Elettrificate” di Gianpiero Kesten

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Questo è il podcast da seguire se vuoi diventare una macchina spara-curiosità con sempre qualcosa di interessante da dire.

I Branded Podcast possono trasformarsi anche in una variante collaborativa nella quale uno show ospita un micro-format sponsorizzato da un brand.

Si tratta di un varianti che vengono chiamate “Branded Series”.

Ne è un esempio quella che il team di VOIS ci ha raccontato di aver contribuito a creare per il loro cliente Gianpiero Kesten, host del podcast “Cose Molto Umane”.

Il suo è un podcast a pubblicazione quotidiana che parla di fatti, storie e cose interessanti che riguardano gli esseri umani, la scienza e il mondo.

Un podcast utile, veloce e divertente dalla durata di circa 7 minuti a episodio.

Per darti degli esempi, ogni puntata parte da una domanda, del tipo:

  • Perché ci baciamo?
  • Perché dimentichiamo i sogni appena svegli?
  • Perché non si coltivano i porcini?
  • Essere vegani fa davvero bene al Pianeta?

Con questo format, Gianpiero conta oggi oltre 720 puntate ed è costantemente ai vertici delle classifiche dei podcast più ascoltati in Italia, con circa 60 mila follower su Spotify e più di 1 milione di ascolti complessivi.

La ragione del suo grande successo sta molto nella sua capacità di affrontare in maniera leggera, ma rispettosa e precisa, argomenti molto vari e di interesse generale-

Ed è proprio su questo terreno di gioco che è nata la collaborazione con Enel.

La multinazionale italiana dell’energia ha contattato VOIS per ideare uno show in cui venisse spiegato il tema dell’elettrificazione.

Per farlo, gli amici di VOIS hanno coinvolto proprio Gianpiero Kesten di “Cose Molto Umane”, che in quanto a spiegare bene argomenti complessi è cintura nera.

Hanno allora inserito all’interno del suo podcast un ciclo dal titolo “Cose Molto Elettrificate”, formato da 6 episodi – appunto realizzati in collaborazione con Enel – per spiegare il processo di elettrificazione.

Ecco, proprio questo ciclo è un esempio di “Branded Serie”, che è riuscito a collezionare oltre 100 mila ascolti in poco meno di due mesi dalla pubblicazione del primo episodio.

E si è rivelato persino un efficace strumento nel raggiungere non solo un’ampia fetta della target audience (25-34 anni), ma anche nello sfatare i miti che spesso circolano sul mondo dell’elettrificazione.

Un doppio vantaggio in termini sia quantitativi che qualitativi per il brand sponsor.

“Dario Vignali Podcast” di Dario Vignali e “Yoga con Denise” di Denise Dellagiacoma

Come visto con Michelle Obama, è inevitabile fare un collegamento tra i Branded Podcast legati a una azienda e quelli legati a un personal brand.

Del resto spesso un’azienda di successo nasce o cresce esponenzialmente a partire da uno o più personal brand a essa legati.

Con lo stesso ragionamento e con l'intento di sfruttare al massimo possibile i nostri contenuti, anche in Marketers gestiamo dei podcast che strategicamente potremmo definire “Branded” ma che sono legati a specifici brand personali.

Quali sono?

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Un nome, una garanzia.

Sicuramente in primis il “Dario Vignali Podcast”, uno dei canali più anziani nell’ecosistema di contenuti Marketers, sicuramente dopo il blog di Dario stesso.

Questo è, sì, un podcast associato al personal brand del nostro Dario, ma in un contesto più ampio diventa un ennesimo canale strategico.

Lo si capisce già dalla descrizione:

“Strategie di Marketing e Business, consigli di crescita personale e professionale. Troverai tutto questo all’interno del Dario Vignali Podcast. Ascolta gli audio ed entra in Marketers, la più grande community italiana di imprenditori digitali.”

Il podcast diventa retention per il personal brand e, allo stesso tempo, preziosa acquisizione per il business.

Se tu stesso, che ora sei qui, prima di entrare in Marketers sei passato dai contenuti audio di Dario, sei la dimostrazione del potenziale strategico di questi contenuti.

Contenuti che tra l’altro, questo va detto, non rubano chissà che tempo prezioso di produzione.

Nel nostro caso, infatti, sono spesso adattamenti di video YouTube di Dario, che rendiamo disponibili anche come podcast.

Può sembrare inutile, ma hai letto le statistiche all’inizio, no?

Le persone ascoltano podcast quando sono in movimento, quando hanno la mente libera e le mani occupate. Podcast, non video.

E anche se volessero guardare un video, YouTube non permette di farlo con lo schermo del cellulare bloccato. Quanto è scomodo?

Anche solo distribuire i tuoi contenuti migliori su un canale come quello audio, può darti ottimi risultati.

Tracciando quelli di Dario dall’inizio del podcast a oggi, siamo sui 480 ascolti al giorno.

Un altro esempio di podcast dalla Family (con furore), che è dimostrazione pratica di quanto detto, è quello di Denise Dellagiacoma, nostra socia e founder di Yoga Academy.

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Yoga, meditazione e benessere a portata d’orecchio.

Il suo “Yoga con Denise Podcast” con gli attuali 225 episodi conta a oggi una media di 3796 ascolti a episodio.

Sì, ti abbiamo condiviso due indicatori di performance diversi tra Dario e Denise per mostrarti quali sono le metriche più importanti per noi.

Ti consigliamo di tenere traccia di queste più di qualsiasi altra. A basso le vanity metrics!

I 2 nuovi metodi di monetizzazione più performanti tra per i podcaster internazionali

Qui evidenziamo un risvolto della medaglia.

Perché sebbene la pubblicità nei podcast abbia avuto un boom negli ultimi anni, il beneficio maggiore finora è sempre stato indirizzato ai brand che la usavamo.

Minori del previsto, pare, sono sempre stati i contributi che le piattaforme pubblicitarie corrispondono ai podcaster che ospitano quelle pubblicità nei loro programmi.

Problematica che non fa testo, ovviamente, agli accordi pubblicitari stretti al di là della piattaforma, come quelli necessari alla creazione di Host-Read Ads.

L’effetto di tale critica mossa dai podcaster ai loro network pubblicitari di riferimento ha generato un’ondata di nuovi tentativi di monetizzazione.

Abbonamenti

Già nel 2021 si è assistito a un grande ribilanciamento tra numero di show distribuiti gratuitamente al grande pubblico e numero di spettacoli destinati ai soli abbonati a un creator.

Abbonamenti che nella gran parte dei casi, soprattutto all’inizio, venivano gestiti ritagliandosi i propri spazi esclusivi su canali propri come i siti web aziendali.

Un altro filone, invece, è quello composto da chi ha preferito gestire il tutto con piattaforme specializzate, come Patreon.

E proprio Patreon, a riguardo, ci condivide dei dati utili:

“I podcast sono il format più redditizio in termini di entrate per creator su Patreon. I podcaster ricevono il 14,80% di tutti i pagamenti mensili, nonostante quantitativamente rappresentino solo il 7,66% in piattaforma”.

Non sorprende allora che di piattaforme simili ne stiano nascendo di nuove. In alcuni casi anche specifiche per i podcaster.

Luminary, per esempio, che ha un modello di business simile a Netflix.

Invece di fornire una piattaforma gratuita, Luminary richiede subito agli utenti di pagare 4,99$ al mese per accedere al contenuto e paga direttamente i podcaster per creare contenuti per la piattaforma.

Un caso simile che ci ha coinvolti direttamente è stato quello relativo allo sviluppo di una serie podcast di Dario in esclusiva con Audible, “Rivoluzione Smart Working“.

A oggi, come puoi vedere dal sito di Audible, è impossibile sbloccarla e ascoltarla a meno di avere l’abbonamento in piattaforma attivo.

Spettacoli in live

Altra possibilità di portarsi una pagnotta bella grande a casa, l’hanno scovata quei podcaster che stanno cercando di lanciare episodi di podcast in diretta da far seguire ai soli possessori di un biglietto a pagamento.

Sia per aumentare l'engagement del pubblico, sia per, appunto, creare una nuova fonte di entrate.

Non è un caso che tra il 2012 e il 2019 la trasmissione in diretta dei podcast è cresciuta del 2.000%.

Le opzioni più popolari per la trasmissione in diretta includono Youtube Live, Facebook Live, Twitch, Castbox Livecast e Zoom, accompagnate da tool di gestione come StreamYard ed Ecamm Live.

Queste puntate possono essere in forma di interviste e sessioni di Q&A, gare, dibattiti telefonici e copertura in diretta di eventi.

Il tutto, lo precisiamo, per biglietti che negli USA stanno arrivando ad avere anche un prezzo di 63$.

Le coordinate da seguire

È abbastanza chiaro che questo mercato è tutt’altro che fermo.

Lo troviamo sicuramente maturato rispetto ai suoi inizi, ma con problematiche e opportunità che di per sé lo rendono ancora in continua evoluzione.

Non ci sentiamo, così come diversi opinionisti online, di definirlo ancora un mercato di massa.

Del resto, nonostante la crescita dell’adozione di questo strumento sia stata esponenziale negli ultimi anni, i nuovi podcast, a parte le eccezioni viste e pochi altri, non stanno tenendo il ritmo con le aspettative qualitative del pubblico.

I colossi nati anni fa hanno ancora tanto da insegnare alle nuove leve, che dovrebbero di sicuro anche ragionare meglio sulla natura dei contenuti che vorrebbero produrre.

Le preferenze del nuovo pubblico sono chiare: l’intrattenimento non è più il fattore critico di successo, a meno che non venga inserito come fattore potenziante in un contesto di formazione o aggiornamento.

E se l’efficacia pubblicitaria dei podcast risulti evidente dai dati, forse è per molti ancora nascosta l’opportunità di migliorare il contenuto organico con l’aggiunta della versione video del podcast.

Negli USA è più comune, certo, ma anche da noi piattaforme come Spotify stanno implementando la funzione e abbiamo visto diversi podcaster italiani di successo che la sfruttano.

Davvero, se il podcast è o vuole diventare uno degli asset principali del tuo brand (e abbiamo visto che può farlo), investire nell’aggiunta del video non può che aiutare.

Contribuirà alla retention del tuo pubblico e questa a sua volta ti darà una leva efficace con cui calcare la mano su nuove fonti di monetizzazione, da partnership con brand a speciali puntate sbloccabili solo tramite abbonamento o acquisto di un biglietto.

Ecco, questo è un po’ il quadro (condensato al massimo) di ciò che abbiamo detto fin qui.

Ora salutiamoci in grande stile con una manciata di consigli pratici su come applicare quanto hai letto in questo Insight:

  • Non fare solo intrattenimento: Se persino degli stand-up comedian arrivano a tenere un podcast di successo che non sia solo cabaret… perché dovresti tu? Le 3 i del contenuto restano sempre valide. Intrattenimento, sì, ma solo se combinato a ispirazioni e/o informazione;
  • Equilibra durata e numero di pubblicazioni: Gli ascoltatori di podcast tendono a consumare questi contenuti in momenti morti della loro impegnata routine quotidiana. In un contesto del genere, puntate troppo lunghe e pubblicazioni troppo frequenti diventano difficili non solo da produrre per te, ma anche da ascoltare per chi ti segue. Crea un equilibrio, anche in base al tipo di contenuto che tratti (vedi i micro-episodi dei podcast di attualità contro le ore di quelli scientifici);
  • Investi in un buon microfono: Oggigiorno c’è più attenzione alla voce che mai prima d’ora. Il trend dell’ASMR ci ha evidenziato quanto sia avvantaggiato un creator di contenuti audio e video con la padronanza della propria voce (se la usa all’interno del contenuto stesso, certo);
  • Massimizza la diffusione dei tuoi contenuti: Non avere paura di caricare gli episodi del tuo podcast su piattaforme streaming diverse. A meno che tu non abbia un contratto di esclusività, l’approccio multi-canale è ancora un’ottima mossa per venire incontro all’uso di più piattaforme che gli ascoltatori, pare, facciano;
  • Accendi la videocamera: Vai all-in, schiaccia il bottone “rec” ovunque tu possa farlo. Video e audio sono sempre stati due facce della stessa medaglia e si stanno confermando tali nell’aggiunta del video ai podcast. Segui il corso degli eventi, darai solo al tuo pubblico un motivo in più per seguirti;
  • Se non lo hai mai fatto, testa le Podcast Ads: Te lo ricordiamo, solo il 20% degli ascoltatori salta le pubblicità nei podcast, mentre nel caso delle pubblicità online la cifra arriva a toccare il 36%. Il tuo pubblico target segue podcast specifici? Sfruttali come base di partenza per decidere il posizionamento delle tue ads;
  • Mimetizza le tue ads: Usa lo stesso tono di voce dell’host del podcast che ospiterà le tue Ads. Se si tratta di Host-Read Ads, sarà naturale. Ed essendo queste le Ads in media più efficaci, dati alla mano, sai a quali dare la priorità;
  • Nutri il tuo (personal) brand: Può capitare che un podcast non abbia un volto a esso associato, ma solo una voce, o neanche quella. Fai in modo che questo non sia il tuo caso. Un brand forte potenzierà naturalmente il flusso di ascoltatori verso il tuo podcast, che di conseguenza aumenterà la retention con il tuo pubblico;
  • Coinvolgi il podcast nel tuo marketing: Un podcast può ricoprire ruoli strategici differenti in una strategia di marketing e non essere solo un canale di nurturing per il tuo pubblico. Puoi includerlo in una strategia di lancio di un prodotto, ad esempio, o renderlo protagonista di una strategia evergreen in cui ogni episodio mantiene una CTA finale di tuo interesse;
  • Non fare affidamento sulla piattaforma: I social che usiamo non ci appartengono. Anche noi creator non siamo che utenti. Di conseguenza la proprietà dei contenuti che pubblichiamo su queste piattaforme è relativa. Se chiudono loro, perderemmo tutto. Assicurati che non accada, caricando tutti i tuoi podcast (anche) su canali proprietari;
  • Crea delle esperienze di ascolto: Fare podcast non si deve limitare per forza solo al caricare spettacoli in formato audio su app come Spotify. Potresti creare episodi unici in collaborazione con specifici brand, programmi premium ad abbonamento destinati ai veri fan o spettacoli in live a numero chiuso. Monetizza i tuoi ascolti al di là delle possibilità che la tua piattaforma ti offre.
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Leni
Leni
1 anno fa

non vedo nulla tutto bloccato : (

olivieridomeniconewsletter@gmail.com
1 anno fa

Bellissimo Insight. Da super appassionato di podcast e da addetto ai lavori ho letto tutto con estremo interesse, e l’articolo è egregio. Complimenti!

Valeria Vadalà
Valeria Vadalà
Admin
Reply to  [email protected]
1 anno fa

Grazie di cuore per questo bellissimo commento!

Valeria Vadalà
Valeria Vadalà
Admin
Reply to  Leni
1 anno fa

Ciao! Sei iscritto a Marketers Pro e non riesci a visualizzare il contenuto integralmente?

sgherzipietro94@gmail.com
1 anno fa

Un ottimo insight! Il podcast è qualcosa che testo da un paio di anni in modi diversi, è il formato che mi è più congeniale.

Avevo grande necessità di questo articolo, grazie del grande livello!

Alessia
Alessia
1 anno fa

Interessantissimo, grazie

Raffaele
Raffaele
1 anno fa

Complimenti, articolo interessantissimo e molto utile. È il mio primo Insight e devo dire che sono rimasto impressionato per la qualità del contenuto e della sua utilità. Sto valutando già da qualche mese se dar vita ad un mio podcast e ora i dubbi sono stati definitivamente fugati.

Valeria Vadalà
Valeria Vadalà
Admin
Reply to  Raffaele
1 anno fa

Grazie per il complimenti Raffaele, li apprezziamo moltissimo! Se ti va facci sapere come andrà la tua esperienza diretta con il podcast che vuoi lanciare!

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