futuro streaming

Netflix è in crisi? Ecco come sarà la tv e lo streaming del futuro

C’era un tempo in cui per vedere un film bisognava aspettare 28 ore di download su eMule.

Erano i primi anni 2000, quando il termine “smartphone” era ancora un’utopia e si ascoltava la musica da cd fai-da-te.

Erano i tempi in cui per guardare un film che non c’era al cinema bisognava aspettare che lo dessero alla tv o passare a noleggiare il DVD dal negozio più vicino.

Lo streaming era un mondo ancora in fasce, ma lo scenario che lo avrebbe accolto da lì a poco si stava già preparando.

Scorrimento veloce ad oggi.

L’idea di dover aspettare per scaricare un film piuttosto che guardarlo on demand è come pensare di chiamare un amico dal telefono fisso.

Lo streaming VOD (Video On Demand, ne parleremo più nel dettaglio più avanti) ormai non è solo popolare, è parte integrante delle nostre vite.

Lo dicono anche i dati.

Il settore globale dello streaming video è stato valutato a ben 50,11 miliardi di dollari nel 2020 ed è salito a 60,1 miliardi di dollari nel 2021 (dati Blue Wave Consulting).

Si prevede che crescerà annualmente del 21% tra il 2021 e il 2028, raggiungendo un valore totale stimato di oltre 330 miliardi di dollari entro il 2030 (dati Grand View Research).

Ma questa crescita è destinata a essere inarrestabile? Come cambierà lo streaming da qui ai prossimi anni? Sono le domande a cui risponderemo insieme in questo Marketers Insight, scoprendo le lezioni e le strategie di membership dei giganti del mercato.

Detto questo, possiamo pronti per partire:

Prima di dare uno sguardo al futuro, torniamo al passato, alla volta del nuovo millennio.

La rotta fin qui

Accendi la tv, scegli la tua serie preferita, e prima ancora che il protagonista principale possa apparire sullo schermo, eccola lì: una “N” rossa sullo sfondo nero. “Tudum”.

netflix

Se dobbiamo parlare della storia dei servizi streaming, non possiamo non parlare di quella del servizio che (per ora) ha sempre dominato su tutti gli altri: Netflix.

Seguirla ci dà un’idea precisa di come si è evoluto questo mercato (e di come in poco più di vent’anni il mondo dei media e dell’intrattenimento sia cambiato per sempre).

Tutto è cominciato a Scotts Valley, in California, nel 1997. I fondatori? Reed Hastings e Marc Randolph.

Dopo alcuni anni turbolenti Netflix riesce a ideare un modello di business di successo: un servizio in abbonamento senza scadenze e con accesso illimitato ai DVD a 19,95 dollari all’anno.

Il servizio prevedeva anche una “coda”: gli utenti potevano scegliere un ordine di spedizione di diversi DVD e un sistema di consegna automatico inviava il nuovo DVD non appena l’altro veniva restituito.

Ah, Netflix copriva anche tutte le spese di spedizione.

Era un servizio incredibile per l’epoca.

Entro i primi cinque anni di lancio Netflix spediva milioni di DVD al giorno e già nel 2001 contava un milione di abbonati.

E lo streaming?

Anni prima la band Severe Tire Damage, appoggiata da diverse startup della Silicon Valley, era stata la protagonista del primo live stream audio e video (via internet) della storia.

Ma in questo momento a Netflix non interessa, la tecnologia non è abbastanza matura, e i fatti sembrano dare ragione all’azienda, che viene quotata in borsa per 309,7 milioni di dollari.

Nel 2005 però entra in scena un nuovo protagonista di questa storia: YouTube.

E nel 2007 per Netflix qualcosa cambia per sempre.

Per la prima volta inizia a trasmettere contenuti in streaming direttamente a TV, computer e tablet tramite il servizio Watch Now.

Il primo test viene fatto in Canada. L’offerta era semplice: 1.000 titoli, inclusi gratuitamente all’abbonamento a DVD fisici da 5,99 dollari al mese.

Tre anni dopo Netflix introduce lo streaming anche negli Stati Uniti. Nello stesso anno Reed lascia una dichiarazione agli investitori:

“Tre anni fa eravamo un'azienda di DVD per posta che offriva un po' di streaming. Ora siamo una società di streaming che offre anche DVD per posta”.

In quegli anni Netflix e altri pionieri dello SVOD (“Subscription Video On Demand”, ovvero servizi che offrono pacchetti di contenuti in cambio di un abbonamento) godevano di buoni rapporti con le reti televisive e gli studi cinematografici più anziani.

Questi operatori storici erano tranquilli: pensavano che usare le nuove piattaforme per i loro cataloghi fosse un’ottima opportunità di guadagno ad alto margine.

Errore, e se ne rendono conto quando Netflix comincia a conquistare il mondo con House of Cards.

Era il 2013, ormai troppo tardi per tutti, la scalata di Netflix sarà inarrestabile.

La SVOD cresceva, la tv via cavo perdeva clienti. Per gli studios e le reti televisive era ora di cambiare strategia.

Inizia una corsa ai ripari: i colossi mediatici tradizionali iniziano a ritirare i loro contenuti dalle nuove piattaforme per lanciare i propri servizi SVOD (come Disney+). I nuovi arrivati non erano più alleati, ma rivali.

disney+

Nel mentre, Netflix e altre piattaforme iniziano a produrre sempre più film e serie esclusivi.

Qual è il vantaggio di avere una piattaforma di proprietà?

Avere accesso diretto ai clienti finali, a chi guarda cosa, a come lo guarda e su quale dispositivo.

I successi più grandi, in questo senso, sono stati proprio Disney+ e Hulu.

Tanti altri arrancano: è difficile avere una base clienti abbastanza grande da compensare gli altissimi costi di produzione dei contenuti.

Un’altra mosca bianca dell’industria è Prime Video di Amazon.

Se hai un abbonamento spedizione Prime, hai accesso gratuito allo streaming. Ecco che Prime Video, più che un diretto concorrente a Netflix e Disney+, è un gigantesco canale di acquisizione.

Oggi Netflix, nonostante i suoi 220 milioni di abbonati, non è più l’unico player del mercato, né il primo: il 10 agosto Disney+ ha annunciato di aver superato i 221 milioni di abbonati, superando per la prima volta quella che sembrava l’inarrestabile macchina Netflix.

I colossi dello SVOD sono sempre di più, e sempre più agguerriti.

E se da una parte le piattaforme ormai si fanno guerra tra loro, dall’altra abbiamo un pubblico che soffre sempre di più di “subscription fatigue”: stanco di dover gestire così tanti abbonamenti e sempre più sensibile al prezzo.

La conseguenza?

Milioni di disiscritti: secondo Deloitte Global, almeno 150 solo nel 2022.

Parliamo di un tasso d’abbandono del 30%, un fenomeno chiamato “SVOD Churn”.

Pensate che, solo nel primo trimestre del 2022, Netflix ha perso 200.000 abbonamenti, per la prima volta in oltre 10 anni.

Cosa sta succedendo? La corsa di Netflix è finita? Lo streaming è in crisi?

Vediamo di capirlo assieme e di capire in che direzione sta andando l’industria dell’intrattenimento.

La bussola del mercato

A febbraio 2022, l’azienda di ricerche Gracenote di Nielsen ha elencato più di 817.000 titoli di programmi unici per la TV tradizionale e i servizi di streaming negli Stati Uniti.

Nel dicembre 2019, ce n'erano poco più di 646.000.

E mentre molti di questi titoli sono la base dell'universo televisivo tradizionale, i contenuti più recenti, soprattutto negli ultimi due anni, sono stati sviluppati per il rilascio over-the-top (OTT).

(L’OTT è l’acronimo che definisce il mercato dello streaming e che si riferisce a tutti i tipi di servizi e contenuti multimediali offerti ai clienti direttamente online, bypassando le reti e piattaforme televisive tradizionali via cavo, broadcast e satellite).

Il 2018 è l’anno in cui i servizi di SVOD hanno prodotto più show originali della TV broadcast o via cavo per la prima volta nella storia.

Percentuale titoli disponibili su servizi di televisione e streaming

L’arrivo dello streaming e delle piattaforme OTT ha cambiato per sempre il modo in cui interagiamo con la tv e ha dato vita a due trend opposti ma complementari (che analizzeremo nelle prossime righe):

  • lo streaming è esploso ed è qui per restare;
  • la nascita di nuove piattaforme e la frammentazione dei contenuti sta rendendo sempre più difficile per le aziende assicurarsi la fedeltà a lungo termine dei consumatori.

Insomma, siamo affamati più che mai di contenuti, ma il banchetto è così grande che non sappiamo da dove cominciare.

La mentalità “streaming-first” è diventata il punto di riferimento per tutti i creatori e i distributori di contenuti.

Molte aziende televisive tradizionali, come Discovery e HBO in America, o come la Rai in Italia, hanno già cambiato rotta e destinato alcuni (o addirittura tutti) i loro nuovi contenuti ai propri servizi di streaming.

È un traguardo incredibile, se pensiamo che lo streaming è nato come alternativa economica al noleggio di DVD.

E il pubblico non potrebbe esserne più contento.

Pensate che, come riportato da Nielsen, l'anno scorso gli americani hanno guardato quasi 15 milioni di anni di contenuti video in streaming.

Non solo, i fornitori di streaming stanno aumentando costantemente la loro quota di tempo televisivo totale dei consumatori:

A luglio, per la prima volta nella storia, lo streaming ha rappresentato una quota record del 34,8% del consumo televisivo totale negli Stati Uniti, superando la TV via cavo (34,4%) e le trasmissioni broadcast. (21,6%).

Il mese scorso il pubblico americano ha guardato una media di 190,9 miliardi di minuti di contenuti in streaming a settimana, eclissando la media di 169,9 miliardi di minuti a settimana guardati durante il lockdown di aprile 2020 (dati riportati da NBC News).

Tracciare l'esplosione – e l'impatto – della scelta dello streaming

Bene, ricordate cosa abbiamo detto poche righe fa?

La scelta di contenuti è sempre più vasta, e noi consumatori siamo sempre più in difficoltà nel capire a cosa abbonarci.

È così che, negli ultimi anni, abbiamo iniziato a iscriverci a sempre più piattaforme.

Numero di streaming a pagamento tra gli abbonati video a pagamento

I dati però sono contrastanti.

Se da una parte alcuni report dicono che il 93% degli americani prevede di aumentare i propri abbonamenti o di non modificare i piani esistenti nel prossimo anno, dall’altra alcuni articoli dicono che l’industria dello streaming è alle strette.

La causa principale?

Il costo. Secondo il report Nielsen, il 56% di chi è abbonato a un servizio di streaming non si abbona ad altre piattaforme perché non vuole spendere di più.

Questo perché le piattaforme ci piacciono da morire: solo una persona su venti dichiara di  avere esperienze negative con lo streaming.

Ok, ricapitoliamo: i consumatori vogliono essere iscritti a più piattaforme, ma non sanno quali scegliere e non vogliono spendere tanto.

Qual è la soluzione?

Content is king, anche in questo caso

Uno dei fattori più importanti nella scelta di un servizio di streaming rispetto ad un altro è il tipo di contenuti esclusivi che offre.

Se vogliamo vedere “Stranger Things”, ci iscriveremo a Netflix. Se siamo fan Marvel, ci iscriveremo a Disney+.

La guerra dei servizi streaming è in realtà una guerra di contenuti.

Pensate che, solo grazie al successo della quarta stagione di “Stranger Things”, Netflix nel secondo trimestre di quest’anno ha perso solo 970.000 iscritti rispetto ai 2 milioni previsti.

C’è solo un problema: i fondi per sostenere questa guerra sono altissimi.

“House of Dragon”, uno spin-off del “Trono di spade” uscito il 21 agosto e prodotto dalla Warner Bros, è costato più di 150 milioni di dollari.

A settembre 2022, invece, Prime Video ha lanciato la serie “Il signore degli anelli: Gli anelli del potere”.

Il prezzo stimato? 465 milioni di dollari, quanto basta per aggiudicarsi il primato di produzione televisiva più costosa di sempre.

Per la quarta stagione di “Stranger Things”, Netflix ha sborsato ben 30 milioni di dollari per episodio.

Sono cifre esorbitanti, che i produttori di SVOD devono continuare a sostenere se vogliono mantenere fedeli i propri clienti.

E su questo aspetto, alcune piattaforme giocano più sicuro di altre.

Per la Disney, Disney+ è solo una delle fonti di guadagno principali.

Lo stesso vale per Prime Video, di cui sappiamo che la funzione principale è attirare nuovi clienti e farli rimanere abbonati a Prime.

Apple TV+ ha l’obiettivo di mantenere i suoi clienti ben stretti all’ecosistema Apple.

È qui che Netflix, invece, rischia di rimanere a secco.

Ecco perché il bundling e l’iper-personalizzazione sono il futuro dello streaming

Ragioniamo insieme.

Per quanto appetito per lo streaming possa avere una persona, il tempo che abbiamo a disposizione in una giornata è sempre lo stesso.

Secondo il report Nielsen, quasi la metà di chi è abbonato a un servizio di streaming dichiara che l'aumento delle scelte rende difficile trovare i contenuti che sta cercando nella piattaforma giusta.

Da questa “frustrazione” è nata una nuova domanda di mercato: quella per i pacchetti di servizi streaming.

Una domanda che appartiene al 64% delle persone.

Ovviamente, il mercato ha iniziato a rispondere.

Alcune aziende hanno già raggruppato offerte tradizionali e di streaming, come Xfinity e Apple TV.

Altre prevedono partnership con diversi operatori, come Verizon, che nella sua piattaforma +play prevede partnership con Netflix, Peloton, Disney+ e altri distributori.

Anche Sky ha intrapreso una strada simile, offrendo in un unico pacchetto Sky TV e Netflix.

sky netflix

Ma il bundling è solo una delle tante strade che possono aiutare i consumatori a trovare ciò che cercano.

L’altra è l’iper-personalizzazione.

Ormai tutte le applicazioni di streaming ci consigliano contenuti in base alla nostra cronologia di visione, con descrizioni dettagliate dei film e (soprattutto) copertine che cambiano a seconda dei nostri gusti.

Nel regno dello streaming, infatti, il carosello video è la vetrina per eccellenza.

I visitatori non si collegano per leggere. Si collegano per vivere esperienze visive. Ed è qui che le immagini personalizzate possono migliorare il visual merchandising di una piattaforma (e il tempo che ci passiamo sopra).

Ecco un esempio, tratto direttamente dal blog sulla tecnologia di Netflix:

artwork personalization

Dal blogpost “Artwork Personalization at Netflix”, pubblicato su Medium dal Netflix Technology Blog il 7 dicembre 2017

La copertina di Pulp Fiction, il film cult di Quentin Tarantino, cambia a seconda se la persona che sta navigando preferisce più film con Uma Thurman o, invece, è un fan di John Travolta.

Fino a qui abbiamo capito qual è lo stato del mercato dello streaming, come si comportano i consumatori e su quali strategie stanno puntando i colossi dello streaming.

Manca rispondere a una domanda fondamentale: come si evolveranno in futuro?

Le coordinate da seguire

Nuovi modelli di business e pricing

Come abbiamo visto prima, i contenuti giocano forse il ruolo più importante nella storia di successo o fallimento di una piattaforma.

Abbiamo anche visto che i costi di produzione di serie originali, però, sono da capogiro.

Secondo la banca d’affari Morgan Stanley, quest’anno Amazon spenderà 16 miliardi di dollari nella realizzazione di contenuti multimediali (la maggior parte dei quali video), mentre Netflix 14.

Anche aggiudicarsi determinati prodotti differenzianti costa caro: sempre Amazon pagherà 1 miliardo di dollari all’anno per trasmettere in esclusiva l’Nfl, la lega statunitense di football americano.

Per alcuni provider questi prezzi non sono un grosso problema (hanno altri asset di guadagno), ma per aziende streaming-centriche come Netflix riuscire a mantenere il passo con gli altri potrà essere molto difficile.

La soluzione, in questo caso, può essere quella di cambiare modello di business.

In un futuro non troppo lontano potremmo vedere Netflix offrire diversi pacchetti a diverse scale di prezzo: magari un piano d’abbonamento più costoso ma senza ad (come per molti provider SVOD attuali) e uno ad-supported (AVOD, come YouTube),  includendo anche contenuti bloccati dal pay-per-view (come già lo sono alcuni contenuti su Amazon Prime).

Un esempio di questi modelli ibridi è Sky: il pubblico paga già un abbonamento mensile per accedere a una libreria di contenuti, ma le novità cinematografiche e alcuni eventi sportivi hanno un costo aggiuntivo.

Aspettiamoci che altre piattaforme seguano la stessa strada.

Non solo streaming video

Su questa scia, possiamo anche immaginare che i pacchetti offerti dalle piattaforme, oltre a unirsi in bundle, potrebbero anche espandersi oltre la semplice esperienza di streaming video per restare competitivi.

Qualche esempio?

Il catalogo video di Apple TV+ offre molti meno contenuti rispetto alla Disney o Netflix, ma il pacchetto Apple One include anche musica, giochi, servizi di archiviazione, contenuti fitness e altro.

apple one apple one 02

O potremmo pensare a Walmart (un’importante catena di supermercati americana), che il 15 agosto ha stretto un accordo con Paramount: gli abbonati a Walmart+ avranno accesso anche a Paramount+, oltre allo streaming musicale già offerto in partnership con Spotify.

Amazon Prime gioca da tempo lo stesso gioco. L’abbonamento include le spedizioni gratis illimitate, Prime Video, Prime Music, Prime Reading, Prime Gaming e lo spazio di archiviazione Amazon Photos.

La direzione del mercato sembra essere quella di offrire più esperienze possibili all’utente sotto un unico pacchetto.

Questa scelta ha senso per diversi motivi:

  • un abbonamento unico che offre più servizi è più competitivo rispetto a un piano che offre solo un servizio di streaming;
  • elimina la “subscription fatigue”;
  • àncora l’utente all’ecosistema scelto: se ho le mie playlist su Apple Music e le mie foto su iCloud, difficilmente annullerò il mio abbonamento a Apple One, anche se non guardo Apple TV+.

La “salsa segreta”

Eccoci arrivati all’ultima tappa del nostro viaggio nel mondo dello streaming video.

In questo paragrafo cercheremo di riassumere quello che abbiamo visto finora e vedremo gli “ingredienti segreti” che ogni provider SVOD (e chiunque abbia un modello di business a subscription) dovrebbe seguire per restare a galla e guadagnarsi la fetta più grossa di clienti.

Qualunque sia il nuovo modello di business che adotteranno, la priorità dei colossi dello streaming di tutto il mondo sarà tenere sotto controllo il “churn rate” e le offerte della concorrenza.

Ormai è improbabile che i costi di sviluppo dei contenuti diminuiscano, e le pressioni per acquisire e mantenere il pubblico saranno sempre più alte.

Per avere successo, i fornitori di servizi SVOD dovranno impegnarsi a comprendere meglio i propri clienti e il loro “life-time value”, a sviluppare più opzioni per diversi segmenti di pubblico e a offrire valore attraverso più opzioni di intrattenimento, come la musica e il gaming.

Offrire più livelli di prezzo

I provider potrebbero aggiungere più fasce di prezzo per diversi segmenti di abbonati, personalizzate per ogni mercato.

In questo modo potrebbero attirare una fetta di spettatori più alta con gli abbonamenti supportati dalla pubblicità, e poi puntare ad abbonati premium e all’accesso a pagamento di alcuni contenuti esclusivi, come prime visioni di film ed eventi sportivi di alto livello.

Secondo i rumors anche Netflix ci sta pensando seriamente, e presto potrebbe lanciare una membership dal costo ridotto, ma con interruzione pubblicitarie.

Inutile dire che si tratta di una bella occasione anche per noi marketer, che potremmo avere a disposizione nuovi canali e fonti di traffico.

Sfruttare le partnership

servizi streaming

Le partnership con gli operatori di broadcast o con la TV via cavo possono fornire l'accesso a un'ampia fetta di popolazione.

Questo può aiutare i provider di SVOD a ridurre i costi di distribuzione e di gestione dei clienti e a creare maggiori incentivi per chi sceglie un'opzione in bundle.

Anche le partnership con gli studios cinematografici possono aiutare i provider a gestire i costi di produzione e a raggiungere un pubblico più ampio di quello attuale.

Tutto a una condizione però: che le partnership non impattino il grado di soddisfazione dei clienti e che queste non tolgano l’accesso diretto ai dati degli utenti.

Comprendere il valore dei clienti

L’abbiamo visto: la personalizzazione è una strada sicura per mantenere i clienti fidelizzati e farli trascorrere più tempo sulla piattaforma.

Di conseguenza, ottenere dati migliori e sempre più precisi sui clienti più piccoli può essere essenziale per sviluppare tattiche più efficaci di personalizzazione, acquisizione e fidelizzazione dei contenuti.

Grazie ai dati, sarebbe più facile prevedere quando un cliente potrebbe disiscriversi perché disinteressato ai contenuti della piattaforma.

E conoscendo meglio i gusti del pubblico, potrebbe essere più facile creare nuovi contenuti di successo che portino milioni di nuovi iscritti.

Insomma, i dati saranno la miniera d’oro dei servizi di streaming: potranno aiutarli a comprendere meglio il “life-time value” di ogni cliente e a sviluppare relazioni più durature, soprattutto con le fasce d'età più redditizie.

Un cliente di 20 anni che si affeziona e rimane fedele può generare decenni di ricavi ricorrenti.

Imparare dagli altri provider, anche fuori dall’industria

I provider SVOD possono anticipare e mitigare il churn rate imparando dagli altri fornitori del servizio.

Ma possono anche imparare dai canali broadcast, che hanno trascorso decenni a gestire il churn rate, o dalle aziende del gaming e dei social media (i due maggiori concorrenti indiretti dello SVOD).

Dove starà il successo dei servizi di SVOD?

In una mentalità orientata all’audience, in tutto e per tutto.

Sarà il pubblico a guidare il futuro dello streaming e le scelte di quella che, al momento, è una delle più grandi e imponenti industrie di media esistenti.

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