Gli scarti di uno, il tesoro dell’altro: ecco come queste startup fanno sold-out con i rifiuti

26 Giugno 2023
Brian Balsamo

Il futuro è green, dovrà esserlo.

Perché ne siamo tanto sicuri? Perché, per quanto fatalista possa sembrare, in caso contrario potrebbe non esserci alcun futuro.

Da anni le menti illustri dell’umanità lo hanno capito, gli Stati si sono mossi, il mercato si sta adattando di conseguenza e la massa sta comprendendo.

La domanda, quindi, non è se unirsi a questa rivoluzione, ma come farlo, in quanto marketer, creativi e imprenditori.

E lo capiremo in questo Marketers Insight, dedicato all’economia circolare, e a come questo nuovo modello vuole cambiare il business come lo conosci.

Imparerai di cosa si tratta, quali sono i suoi benefici e come alcuni dei brand più interessanti al mondo ne stanno applicando i principi per fare impresa a impatto zero.

Alla fine di questo approfondito Insight avrai gli spunti per coniugare il bisogno di generare profitti alla necessità di essere (davvero) sostenibili.

Madre Natura ringrazierà.

Iniziamo.

La rotta fin qui

6 anni, 112 giorni, 23 ore, 30 minuti, indefiniti secondi.

Alla pubblicazione di questo Insight, questo è il conto alla rovescia segnato sull’orologio climatico.

Si tratta di un particolare orologio che segna il tempo che ci separa alla trasformazione della Terra come la conosciamo oggi. Puoi consultarlo qui.

Una volta scaduto ciò che ci troveremo davanti sarà il riflesso del nostro impegno nel combattimento al cambiamento climatico.

Nel peggiore dei casi, la temperatura media globale della superficie aumenterà di 3-4°C entro il 2100 con impatti catastrofici (e permanenti) sulla biosfera.

Inondazioni, siccità, estinzioni di massa, regioni permanentemente inabitabili, miliardi di rifugiati e centinaia di milioni di morti.

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Non il miglior contesto per farsi qualche selfie.

Nell’alternativa migliore, la temperatura media della superficie globale potrebbe aggirarsi appena sotto 1,5°C intorno al 2040 e stabilizzarsi per il resto del secolo.

In questo modo eviteremmo i peggiori impatti climatici e preserveremmo un pianeta abitabile per le generazioni future.

Ma in che modo possiamo spingere verso questo esito decisamente più positivo?

I primi a porsi questa domanda e a trovare una soluzione pratica furono dei pensatori del secolo scorso.

L’architetto Walter Stahel, il fisico Amory Lovins, i designer McDonough e Braungart, l’economista Nicholas Georgescu-Roegen.

Tanti nomi, un unico obiettivo: trovare un'alternativa migliore al modello di crescita economica che ha caratterizzato gli ultimi 150 anni di storia: l’economia lineare.

Il problema dell’economia lineare? La continua necessità di nuove materie prime, la produzione e il consumo di massa e, ovviamente, l’accumulo o la distruzione degli scarti dell’intero processo.

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Sempre avanti, qui non si guarda mai indietro.

La continua estrazione e dismissione di materia ha generato nel lungo periodo effetti ambientali dannosi.

Ne sono esempi perfetti la contaminazione dei mari e della terra, il dramma dei rifiuti, le emissioni di gas serra responsabili del cambiamento climatico.

In questo contesto si sono inseriti i nostri pensatori rivoluzionari.

Dopo anni di ricerche hanno elaborato delle modalità alternative per fermare lo spreco di materiali e l’inquinamento da fonti fossili, promuovendo invece la produzione efficiente, il riciclo, le energie e fonti rinnovabili.

Nel 1976, in una rapporto dal titolo “The Potential for Substituting Manpower for Energy”, presentato alla Commissione europea, delinearono la loro intera visione.

Lì venne per la prima volta alla luce l’idea di un modello economico nuovo, chiamato “economia circolare”.

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Il loop preferito del pianeta Terra.

Proprio come i meccanismi che contraddistinguono i sistemi viventi, l’economia circolare è pensata per potersi rigenerare da sola, minimizzando gli scarti e massimizzando il valore d’uso dei prodotti di consumo.

I benefici furono subito evidenti, la teoria era chiara.

I primi veri sforzi di adozione di questo ciclo produttivo, però, partirono solo negli anni 2000, con Cina e Giappone, quindi poi si diffusero in Occidente.

La trasformazione non poteva essere repentina, il rischio era di bloccare la catena produttiva di interi Paesi e indebolire l’economia globale.

Allora ogni Stato iniziò il suo piano di adozione, fatto di scadenze precise e step da seguire per compiere questa evoluzione nel modo più sicuro e completo possibile.

A oggi siamo nel pieno di questi piani e la teoria sta lasciando il posto all’impegno pratico.

In questo contesto, ci siamo chiesti:

Quali risultati abbiamo raggiunto finora? Che effetti ha avuto questa nuova economia in Italia e nel mondo? Ha dato origine a nuovi modelli di business dall’alta domanda?

La bussola del mercato

Attualmente la Terra impiega quasi 1,5 anni per rigenerare ciò che usiamo in 1 anno.

Questo perché c’è ancora un enorme divario tra circolarità e linearità di produzione. L’economia mondiale, infatti, è circolare solo per il 9,1%.

L'Organizzazione Internazionale del Lavoro prevede la creazione netta di 18 milioni di “posti di lavoro verdi” entro il 2030. La spinta è graduale, ma c’è.

Lo conferma l’obiettivo ufficiale prefissatosi dall’Unione Europea di arrivare a riciclare il 65% dei rifiuti urbani e ridurre l’uso delle discariche a un massimo del 10% entro il 2035.

Riguardo l’interesse delle imprese verso questo modello economico a favore dell’ambiente, il mondo imprenditoriale italiano risulta agli ultimi posti in Europa per numero di casi concreti.

Il problema è che, nonostante oggi la transizione sia sostenuta da un numero sempre maggiore di politiche e iniziative, persistono barriere sociali, economiche e tecnologiche:

  • Alle imprese mancano spesso la consapevolezza, le conoscenze o la capacità di mettere in pratica le soluzioni dell’economia circolare.
  • Gli investimenti restano insufficienti, in quanto percepiti come rischiosi e complessi.
  • La domanda di prodotti e servizi sostenibili viene ostacolata dalla necessità di modifiche nel comportamento dei consumatori.

Eppure se si progettasse in maniera ecocompatibile e si riutilizzassero i rifiuti generati dalle aziende europee, i risparmi netti per le imprese arriverebbero fino a 604 miliardi di euro, ovvero l’8% del fatturato totale annuo di tutte le aziende dell’UE.

Questo riducendo al tempo stesso le emissioni totali annue di gas serra del 2-4%.

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Noi di carbonio ne avremo da eliminare ancora per un po’.

A ogni modo, ci sono diversi trend imprenditoriali da tenere sott’occhio, soprattutto analizzando la scena mondiale.

Quindi studiamo i principali, fornendo degli esempi di brand esemplari per ognuno.

“Sharing is caring”: come le startup promuovono la circolarità attraverso la condivisione

Una delle migliori tendenze economiche circolari è quella che gira attorno al processo del riutilizzo.

Si tratta di quel procedimento per cui il ciclo di vita dei prodotti viene allungato, riducendo in un colpo solo la creazione di rifiuti e il consumo di materie prime per svilupparne di nuovi.

Il problema è che vi è spesso una carenza di informazione, e alle persone comuni è difficile comprendere:

  • Quali prodotti sono effettivamente riutilizzabili: Non tutti i prodotti sono progettati per esserlo e può essere difficile identificare quali possono essere riutilizzati in modo sicuro ed efficiente senza compromettere qualità o funzionalità.
  • Dove trovare prodotti riutilizzabili: Le persone potrebbero non sapere dove cercare o acquistare prodotti riutilizzabili, specialmente se non esistono negozi o piattaforme ad hoc che li offrono nella loro zona.
  • Come preparare i prodotti per il riutilizzo: A volte i prodotti richiedono una certa manutenzione o pulizia prima di poter essere riutilizzati. Ma sono ancora in pochi coloro che lo sanno, e ancora meno coloro che lo fanno.
  • Informazioni sui benefici del riutilizzo: Potrebbe mancare una conoscenza generale sui vantaggi ambientali, economici e sociali derivanti dal riutilizzo dei prodotti, il che potrebbe scoraggiare le persone dall'esplorare questa opzione.
  • Incentivi per il riutilizzo: Mancanza di informazioni su eventuali incentivi fiscali, sussidi o programmi di sovvenzione che promuovono il riutilizzo di prodotti e materiali.

Ecco perché si stanno diffondendo vari tipi di piattaforme di facilitazione al riutilizzo.

Puoi pensare a loro come a dei veri e propri marketplace specializzati nella compra-vendita (o affitto, persino) di prodotti riutilizzabili e riutilizzati.

Queste aiutano a connettere le persone, le aziende e le organizzazioni che vogliono ridurre gli sprechi e promuovere un'economia circolare.

Piattaforme di condivisione delle risorse come quella della startup olandese Excess Materials Exchange stanno aprendo la strada.

Questa, in particolare, offre un utile abbinamento digitale B2B per il riutilizzo di materiali.

Significa che le aziende hanno l’opportunità di guadagnare evitando sprechi, trovando con facilità altre attività interessate ai propri scarti, materiali in eccesso e macchinari che altrimenti rimarrebbero inutilizzati.

Il vantaggio di affidarsi a una piattaforma del genere non sta solo nel trovare facilmente un compratore o un venditore, ma anche nella certificazione del prodotto destinato al riutilizzo.

A ognuno di questi, infatti, viene assegnata un’identità digitale tramite codice a barre e QR o chip RFID. Poi ogni identità digitale fornisce una panoramica su composizione, origine, tasso di tossicità e sicurezza del rilascio dei materiali in questione.

La piattaforma identifica quindi le migliori opzioni di riutilizzo in base al valore finanziario, ambientale e sociale dell’oggetto, comunicandole alle parti coinvolte.

Come è facile intuire, in questo contesto di condivisione delle risorse è comune trovare attività che nascano con quel solo scopo in mente: condividere, gratuitamente.

È il caso di The Freecycle Network, una piattaforma globale senza scopo di lucro che consente alle persone di dare e ricevere oggetti gratuitamente nella loro comunità locale.

L’impatto della sua mission è evidente: conta 9 milioni di membri in tutto il mondo, con migliaia di gruppi locali.

Altro caso di successo è Buy Nothing Project, presente in oltre 40 paesi.

È un movimento basato sempre sulla condivisione gratuita di risorse all'interno di comunità locali, che sfrutta allo scopo la potenzialità di migliaia di gruppi Facebook.

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La pratica è come quella delle librerie pubbliche che si trovano anche in alcune città italiane, in cui prendi un libro e ne lasci uno a tua volta.
Ed è subito baratto!

Oltre al riutilizzo dei materiali e degli oggetti di uso abituale, un altro flusso di condivisione nelle comunità locali che si è decisamente espanso riguarda gli alimenti e tutto ciò che ci gira attorno.

C’è chi lo fa per evitare sprechi alimentari, chi per evitare di bruciarsi un possibile ritorno da alimenti invenduti (che quindi dà via anche a prezzo stracciato).

Come sempre, quando c’è domanda, la risposta è varia.

OLIO, per esempio, è un'app attraverso la quale le aziende pagano una commissione per ricevere dei volontari addestrati all’igiene alimentare.

I volontari arrivano, raccolgono gli alimenti indesiderati, li fotografano e li elencano nell’app, offrendosi come dei punti di raccolta locali.

In cambio dell’impegno i volontari possono conservare fino al 10% del cibo che raccolgono.

Fino al 2021, con oltre 3,6 milioni di utenti, aveva già salvato più di 5 milioni di porzioni di cibo dagli sprechi.

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Tra il 33 e il 50% di tutto il cibo prodotto a livello globale non viene mai consumato e il valore di questo spreco supera i mille miliardi di dollari.

La startup tedesca Vytal, invece, è altrettanto interessante perché produce e spedisce oggetti come ciotole, vassoi, tazze e imballaggi per pizza dal polipropilene riciclabile.

Ai membri fornisce anche un sistema di restituzione gratuito attraverso la sua applicazione mobile.

In più, sempre dall’app, permette ai consumatori di accedere a una mappa con cui vedere tutti i ristoranti che usano o consentono il ritorno dei loro pacchetti.

Dobbiamo dirlo, gli imballaggi riutilizzabili sono una svolta. Lo conferma la trazione che stanno guadagnando nelle industrie manifatturiere, automobilistiche e dei beni di consumo.

Il fatto è che, al di là della riduzione dell’impronta di carbonio dovuta ai minori rifiuti, consentono alle aziende di ridurre significativamente i costi di acquisto e smaltimento degli imballaggi.

E se c’è qualcosa che fa bene tanto al pianeta quanto al portafoglio, possiamo essere certi che verrà spinto senza troppa difficoltà.

Davvero, del resto tu stesso potresti essere uno dei tanti utilizzatori abituali di piattaforme che seguono la stessa regola. Per esempio Vinted, Depop e ThredUP, che offrono servizi analoghi per la vendita e l'acquisto di abiti e accessori usati.

Non solo, la leva efficace che potenzia queste piattaforme si incastra anche in concetti come l'accesso a prodotti di moda a prezzi più economici e quindi a un pubblico più ampio.

Nel mezzo, però, a collegare gran parte di queste aziende c’è il settore che più di tutti influisce negativamente sul nostro problema ambientale.

Si tratta del trasporto merci, che pur rappresentando il 20% del traffico urbano, è responsabile del 60% dell'inquinamento atmosferico su strada.

In generale tutto il settore degli spostamenti è una delle principali fonti di inquinamento atmosferico, in particolare nelle città.

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Grossi, pesanti e inquinanti: delle ciminiere mobili, in pratica.

A oggi è anche vero che la crisi del Covid 19 abbia avuto un forte impatto sulla situazione, dimezzando il trasporto di passeggeri e riducendo quello di merci del 18,7%.

Uno studio condotto dal Centro Europeo per l'Energia, i Trasporti e l'Ambiente (EEA) ha rilevato che, da allora, il trasporto su auto in Europa sta calando sempre di più.

A crescere in modo significativo è il trasporto su bicicletta elettrica e altri mezzi di micromobilità, della cui industria abbiamo già parlato in modo approfondito in questo Marketers Insight.

Inoltre, uno studio condotto da Deloitte ha rilevato che i consumatori stanno diventando sempre più interessati a servizi di spostamento a basso impatto ambientale, tanto da essere disposti anche a pagare di più per essi.

Ne è già una conferma il rapporto dell'Agenzia Internazionale dell'Energia (IEA), secondo cui i veicoli elettrici stanno guadagnando terreno a livello globale con un aumento del 43% delle vendite nel 2020 rispetto all'anno precedente. La Cina è al primo posto per livello di adozione, segue l’Europa.

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Copenaghen è l’esempio europeo da seguire. La città ha costruito oltre 400 km di piste ciclabili, che rappresentano circa il 50% dei percorsi urbani.

In questo contesto, le aziende stanno cercando di adottare dei modelli di business quanto più sostenibili per entrare a far parte di una visione dell’economia circolare in cui ci si concentra sulla massima efficienza possibile.

I trasporti prevedono emissioni inquinanti, sarà così ancora per un po’, ma possiamo fare il massimo per limitarla, questo sì.

Ecco che servizi di car sharing come Enjoy, ZigZag e Car2Go si collocano al centro di questa rivoluzione, supportati dal comportamento dei consumatori che in media finiscono per usare un’auto di proprietà solo per il 4% dei propri spostamenti.

Inoltre, le aziende automobilistiche e i fornitori (anche locali) di pneumatici stanno iniziando ad adottare modelli di leasing a breve termine, come quelli proposti da Toyota e Michelin.

E, insieme ai privati, gli organi pubblici stanno facendo la loro parte per diffondere questa sana adozione.

Il Ministero dell'Ambiente italiano, per esempio, ha promosso un'iniziativa per incentivare l'utilizzo del car sharing, prevedendo sconti sui pedaggi autostradali per gli utenti di veicoli condivisi.

Ecco che quindi questi modelli stanno cambiando radicalmente il modo in cui le persone pensano al trasporto, passando da un modello di acquisto e proprietà a un modello di servizio e condivisione.

Quando i rifiuti si trasformano in opportunità da milioni di dollari (il fenomeno dell’Upcycling)

Se, invece di riutilizzarli, gli scarti vengono lavorati e trasformati in nuovi prodotti di valore superiore rispetto al loro stato precedente, si parla di upcycling.

Questa pratica implica un consumo di risorse rispetto al semplice riutilizzo (per cui i consumi sono zero), ma risulta comunque indispensabile in quei casi in cui il riutilizzo stesso non è praticabile a causa dello stato di deterioramento del prodotto.

In tal caso, contribuisce comunque a un uso più efficiente delle risorse e ha un impatto sull'ambiente e sull'economia migliore di quanto lo abbia la creazione di rifiuti.

Nel settore della moda, ad esempio, alcuni produttori stanno utilizzando rifiuti tessili per creare nuovi capi, scarpe e accessori, persino combinandoli tra loro per ideare dei vestiti che appaiono come dei mosaici indossabili.

Ne è un famoso esempio dal Canada il brand Broken Ghost Clothing, nato proprio dalla frustrazione della fondatrice nel vedere così tanti abiti sprecati.

Oggi è lei stessa a recuperarli in giro nei negozi dell'usato, per poi ricomporre ogni pezzo utile insieme a molti tessuti diversi e usare gli scarti più piccoli per degli elementi di finitura.

Una variante simile, ma non a scopo di lucro, è RubyMoon, un brand che sta dando un nuovo significato ai costumi da bagno e all'abbigliamento sportivo sostenibili del Regno Unito.

E lo sta facendo combinando le due tipologie di abiti in uno solo, nella sua linea GymToSwimwear, minimalista, sostenibile e resistente a cloro, acqua salata e raggi uv.

Gli scarti di uno, il tesoro dell’altro: ecco come queste startup fanno sold-out con i rifiuti 9Stravagante, ok, ma possiamo dirlo? Dannatamente funzionale.

Nel settore edile, invece, che rappresenta oltre ⅓ del consumo globale di risorse e causa tra l'11% e il 23% delle emissioni globali di CO2, l'upcycling sta guadagnando popolarità attraverso il riadattamento dei prodotti più disparati.

Ecopneus è un consorzio che si occupa di raccogliere pneumatici fuori uso e trasformarli in gomma riciclata per campi da calcio, asfalti a generazione di rumore ridotta, aree gioco per bambini e arredo urbano.

Considerando che dal 2011 ha raccolto e recuperato 1 milione di tonnellate di pneumatici fuori uso che sarebbero diventati solo rifiuti… chapeau!

Il mondo startup trova ovviamente terreno fertile in queste iniziative rivoluzionarie ad alto impatto.

Infatti nel Regno Unito la startup Seab Energy offre soluzioni per generare energia dai rifiuti, grazie a un digestore anaerobico containerizzato, il Muckbuster, che trasforma il liquame e i rifiuti agricoli in elettricità e calore, producendo fertilizzanti come sottoprodotto.

E il bello dell’upcycling è proprio questo: oggi può essere applicato anche ai rifiuti organici.

Il fatto è che gli scienziati stimano che nel mondo si producono 300 milioni di tonnellate di plastica all'anno e che circa il 99% è ottenuta da petrolio greggio e altri combustibili fossili.

Una volta nell'immondizia, questo tipo di plastica può durare secoli senza decomporsi. E se bruciata rilascia diossido di carbonio nell'atmosfera, contribuendo ai cambiamenti climatici.

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Fosse solo la plastica… i biomateriali risultano essere la soluzione alla sostituzione di tutti i minerali inquinanti che circolano nella nostra catena di produzione lineare.

Ecco perché alcuni produttori stanno puntando alla creazione di materiali derivanti da scarti organici ed elementi come amido di mais, patate dolci o altre fonti vegetali rinnovabili, che sono biodegradabili e si decompongono nel terreno senza inquinarlo.

Tuttavia questi materiali spesso non sono abbastanza resistenti o flessibili, quindi il processo di upcycling risulta vitale per renderli dei competitor di qualità.

Biovotec è un'azienda che partecipa a questa battaglia producendo una bioplastica dagli scarti di gusci d'uovo che si accumulano ogni anno in Norvegia. Spoiler: anche qui sono tonnellate.

VEGEA combatte sullo stesso fronte producendo una pelle vegetale a partire dalla cellulosa e dagli oli contenuti in bucce, semi e raspi dell'uva, quindi tutti sottoprodotti della produzione del vino.

Leggendo tra le righe delle nostre ricerche, ciò che abbiamo capito è che ogni sottoprodotto organico può avere un futuro migliore di quello che abitualmente gli diamo nella pattumiera.

Elio Amato, il nostro direttore marketing, applica da anni questo concetto con i suoi rifiuti organici. Invece di cestinarli normalmente, ha creato una piccola compostiera delle dimensioni di un classico cestino in cui mette i suoi scarti organici.

In questo contenitore i rifiuti attraversano un processo di compostaggio grazie all’azione dell’ossigeno e di organismi viventi come lactobacilli (gli stessi batteri buoni dello yogurt) e lombrichi, trasformandosi in pregiato fertilizzante senza emettere odori e in maniera igienica.

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A destra i rifiuti organici che noi normalmente buttiamo e addio. A sinistra il prezioso compost creatosi da quei rifiuti.

Elio poi usa questo fertilizzante per concimare le decine di piante che ha a casa senza spendere un euro e per mostrare a tutti il suo pollice verde.

Un metodo semplice per diventare personalmente parte dell’economia circolare, non trovi?

C’è una startup tutta italiana che sfrutta un processo di upcycling simile, altrettanto semplice, che crea la vita a partire dai fondi di caffè.

È Funghi Espresso, i cui ideatori hanno sviluppato un metodo per sfruttare qualcosa senza alcun valore proteico (i fondi di caffè appunto) per crescere dei funghi commestibili di altissima qualità proteica, anche a casa, senza inquinare un singolo centimetro di suolo.

In particolare il micelio, cioè il corpo dei funghi, ha un processo di crescita tale da essere prodotto localmente su vari materiali organici di scarto.

Questo ne riduce massivamente i costi di trasporto, che, ricordiamo, sono una delle principali fonti di inquinamento atmosferico.

Per queste ragioni il micelio è una delle componenti più economiche per produrre biomateriali di qualità.

Mogu è una startup italiana che offre proprio materiali a base di micelio per l'interior design, coltivandoli essa stessa a partire da residui agro-industriali.

Ora, sebbene l’upcycling sia una strategia eccellente di massimizzazione dello sfruttamento della materia, capita comunque che a volte dei prodotti siano condannati alla totale dismissione.

Questo soprattutto quando parliamo di prodotti tecnici, meccanici o tecnologici danneggiati che difficilmente potrebbero andare incontro a un processo di miglioramento che non preveda un consumo eccessivo di risorse.

È così che si delinea un’ulteriore opzione di ciclizzazione di ciò che altrimenti non avrebbe futuro in un contesto di produzione lineare: la riparazione.

Un esempio davvero eccellente di brand che potremmo definire leader in questa procedura è Fairphone, una startup che ha ideato il primo cellulare disegnato per garantire longevità e riparabilità massima.

Con i loro dispositivi non bisogna essere un esperto per sostituire la batteria o il display, nessuna componente è incollata e si può scegliere di ripararlo facilmente da soli con un cacciavite standard.

Gli scarti di uno, il tesoro dell’altro: ecco come queste startup fanno sold-out con i rifiuti 12Immaginiamo già quelle persone che si compongono da soli i computer: impazziranno!

Anche nel mercato della moda, laddove il creare rifiuti sia la conseguenza del danneggiamento di un capo, ci sono brand che si schierano a favore della riparazione.

“Riparare è bello”, è la filosofia promossa in tutto il mondo da Patagonia nel suo progetto Worn Wear.

Così nei suoi negozi ed eventi dedicati si può ricevere assistenza gratuita per la riparazione dei propri vestiti, oppure si possono acquistare capi usati rimessi a nuovo.

Internet of Things vs Internet of Waste: la tecnologia al servizio della raccolta differenziata intelligente

Nei sistemi tradizionali di gestione dei rifiuti, i comuni e le società che se ne occupano spesso finiscono per spendere molti soldi ed energie in una raccolta inefficiente dei rifiuti.

Il problema è che il sistema di raccolta di solito funziona su programmi fissi, periodici, che non considerano la reale capacità dei cassonetti che contengono la spazzatura.

Le situazioni spiacevoli che tendono a capitare sono due:

  • I rifiuti si accumulano fino a straripare prima che arrivi il giorno di raccolta, causando dei danni estetici alle città, malcontento degli abitanti e danni al turismo.
  • D'altro canto raccogliere i rifiuti prima che il cassonetto si riempia è lo stesso una pratica svantaggiosa per l’ambiente, perché implica una maggiore frequenza di viaggio dei veicoli pesanti (altamente inquinanti).

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La mappa dei più spreconi al mondo.

Pertanto, le startup stanno sviluppando soluzioni intelligenti di gestione dei rifiuti basate sull’IoT (Internet of Things) per ridurre ogni inefficienza attuale.

Cos’è l’Internet of Things?

È un termine che si riferisce alla connessione di oggetti fisici, come dispositivi elettronici, sensori e attuatori, tramite Internet, permettendo la raccolta, la trasmissione e l'analisi di dati.

Questi oggetti possono essere integrati in sistemi complessi e interconnessi, creando reti intelligenti di dispositivi e applicazioni che possono essere utilizzate per migliorare l'efficienza, la sicurezza e la qualità della vita.

L'IoT sta rivoluzionando diversi settori, tra cui appunto la gestione dei rifiuti, la logistica, l'agricoltura, la sanità e l'energia.

Un esempio di soluzione che sta sfruttando questa tecnologia è quella ideata dalla startup greca Recytrust, che prevede una sorta di bilancia all’avanguardia in grado di notificare quando sia meglio svuotare un cestino.

Allo stesso tempo questa possiede un sistema di tracciamento per identificare gli utenti che gettano rifiuti in quel contenitore e monitorare le loro prestazioni di riciclaggio.

L’applicazione mobile, poi, tra le altre cose, permette l’uso di un codice univoco che consente di tenere traccia dell'origine dei riciclabili e avere una prova certificata del processo di circolarità a cui sono andati incontro.

Il che, come detto all’inizio, è un fattore importante per garantire la nuova immissione nel mercato di prodotti di qualità.

Ciò che va evidenziato, però, è che già la sola separazione automatica dei rifiuti, garantendo ovunque la raccolta differenziata e minimizzando gli sprechi, avrebbe un impatto decisivo sull’ambiente.

Ishitva Robotics Systems, per esempio, è una startup indiana che offre un bidone intelligente che, oltre ad avere un sensore di riempimento per la spazzatura, separa automaticamente i rifiuti secchi come carta, materie plastiche e lattine.

La piattaforma collegata al bidone, quindi, analizza i rifiuti e genera rapporti su tipi e quantità di rifiuti raccolti e tempo trascorso per la raccolta in ciascuna area.

Le opportunità generate da tecnologie del genere sono stimate attorno ai 700 miliardi di dollari all'anno in materiali risparmi.

Sfortunatamente questo processo è ancora un collo di bottiglia per molte strutture adibite alla gestione dei rifiuti, poiché la maggior parte segue ancora un sistema a singolo canale che causa un accumulo indifferenziato dei riciclabili.

In questo modo, durante i processi successivi, parti di alcuni riciclabili in carta e plastica vengono perdute, con conseguente spreco di soldi e risorse.

La soluzione più in trend, nonché componente di tecnologie come quella del bidone intelligente menzionato prima, consiste nell’uso di software di Intelligenza Artificiale.

I macchinari basati su IA ordinano i riciclabili molto più velocemente, evitano il contatto umano con materiali potenzialmente nocivi e riducono i costi di smistamento grazie a una separazione automatica più efficiente.

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Ecco, l’IA ci risparmia di vestirci da Simpson per rovistare pericolosamente tra rifiuti tossici.

La startup britannica Recycleye è un esemplare di efficienza che sfrutta sistemi di AI e robotica combinati al Wastenet, cioè un database di dati visivi sui rifiuti.

Grazie ai dati raccolti, offre un software di computer vision tanto preciso che i suoi processi di ordinamento automatico dei rifiuti riescono a effettuare separazioni per materiale, oggetto e persino marchio.

E l’alta tecnologia a mettere lo zampino nel modello economico circolare non è finita qui…

Sono sempre di più, infatti, le startup che ricorrono alla completa trasparenza, immutabilità e tracciabilità della tecnologia blockchain per verificare l'origine dei prodotti.

Ad esempio, la piattaforma di tracciamento del World Economic Mining and Metals Blockchain Initiative traccia le emissioni di carbonio delle aziende minerarie per aiutarle a soddisfare le richieste ambientali dei rispettivi governi.

La startup olandese Circularise sviluppa soluzioni a base di blockchain per creare canali di tracciamento capaci di aiutare tanto i fornitori quanto i consumatori.

I primi ottengono la possibilità di aumentare il valore percepito delle proprie merci grazie al fatto che queste posseggano anche un’identità digitale che certifichi la provenienza dei materiali che le compongono.

I secondi, invece, guadagnano la tranquillità di fare acquisti da un brand che si conferma essere degno di fiducia e affidabilità, con certificazioni digitali che diano prova della sostenibilità dei suoi prodotti.

Certo, ci sarà un pubblico maggiormente incline a dare importanza a questi temi e di conseguenza ai brand che li rispettano. L’efficacia della segmentazione ce lo insegna da sempre.

Allo stesso tempo, però, soprattutto intorno ad argomenti tanto importanti come la protezione ambientale, giocano un ruolo importante quei brand che provano a elaborare strategie di gamification in grado di attirare anche le persone di natura meno green.

NatureCoin è una startup canadese che offre una piattaforma di blockchain con un sistema di ricompensa decentralizzato capace di associare utenti e bidoni intelligenti in tutto il mondo.

A che scopo?

Ogni volta che uno di questi utenti getta un prodotto riciclabile in un bidone intelligente, la piattaforma lo registra e genera una ricompensa che va ad accumularsi nel portafoglio elettronico del cittadino in questione.

La ricompensa consiste in punti rimborsabili per l’acquisto di beni o servizi.

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Questo bidone intelligente si trova in un supermercato della catena tedesca ALDI.
La cosa figa è che ti dà una ricompensa in denaro per ogni bottiglia di plastica che gli dai in pasto.

Allo stesso tempo, i dati sull’impegno cittadino vengono aggiornati costantemente su un libro mastro pubblico che tiene traccia della riduzione dell’impatto ambientale e dell’impronta di carbonio.

Tutte informazioni che ai governi sono utilissime per capire se, quando e quali politiche ambientali promulgare.

Le coordinate da seguire

L’economia circolare è un modello che affonda le radici nel tema (sempre più) caldo degli ultimi anni: la consapevolezza ambientale.

La massa sta diventando conscia dello stato del pianeta e dell’impatto negativo che l’attività umana sregolata sta avendo sull’ecosistema naturale che abitiamo.

La soluzione, promossa da questo modello economico, prevede di integrare i nostri flussi produttivi nei naturali cicli di produzione della biosfera, in modo tale che i nostri consumi siano perfettamente bilanciati dal ritmo di generazione di risorse della Terra.

Sono diversi gli Stati in tutto il mondo che stanno spingendo le attività imprenditoriali (nuove e vecchie) verso la completa adozione del modello circolare, anche attraverso finanziamenti di settore e piani di trasformazione che evitino danni ai business.

Puntando la lente sui maggiori brand ecosostenibili al mondo o su quelli il cui impegno green sta rivoluzionando il mercato ancora dominato dal modello lineare, abbiamo scoperto 3 principali trend di business:

  • La condivisione di risorse, per favorire il fenomeno del riutilizzo di materiali e interi prodotti caduti in disuso o vittime di acquisti quantitativamente eccessivi, è un obiettivo a cui mirano tanto soggetti senza scopo di lucro che business veri e propri. Le startup coinvolte puntano principalmente sul fare da tramite tra le parti della condivisione, creando una sorta di marketplace di seconda mano generico o che, più nello specifico, va dai materiali, agli alimenti, fino ai vestiti.
  • Quando i prodotti, però, non trovano futuro perché rotti o semplicemente non desiderati, il riutilizzo risulta impossibile. Almeno fino a quando non viene preceduto dal processo di upcycling, che prevede la riparazione e trasformazione del prodotto in questione per crearne una versione qualitativamente migliore da poter reinserire senza problemi sul mercato. Il settore della moda è l’esempio leader tra i settori classici grazie ai suoi molteplici casi di successo di brand specializzati nella vendita di capi creati a partire da pezzi di altri abiti. Tra le rivoluzioni assolute va ricordato il fenomeno dell’upcycling applicato alle risorse organiche per trasformarle in materiali biodegradabili adatti ai settori più disparati.
  • È inevitabile, certo, che dei rifiuti si generino. Nel contesto di questo modello circolare, però, è prioritario creare dei flussi di smistamento quanto più ottimizzati possibile. I brand che se ne stanno facendo carico usano IA, robotica, computer vision e blockchain sia per generare un maggiore recupero di materiali e risorse sia per creare un processo di raccolta quanto più automatizzato, preciso e motivante possibile per le persone.

Ora passiamo al pratico: “Cosa puoi portarti subito a casa da questo Insight?”.

Ecco dei consigli subito applicabili che abbiamo estrapolato per te:

  • Sperimenta l’ecosostenibilità: Ci sono tante task nella quotidianità di un business su cui potresti investire per renderlo più green. Potrebbe persino valerne la pena economicamente, considerando l’interesse crescente del pubblico. Che si tratta di ridurre l’impatto della tua logistica sfruttando mezzi meno inquinanti, di usare packaging eco-compatibili, di ideare tu stesso e vendere prodotti fatti di materiali biodegradabili o di investire in tecnologie come i cassonetti intelligenti per i tuoi ambienti di lavoro, la scelta è varia ma sempre apprezzata.
  • Definisci una Circular Customer Journey: Se vendi prodotti fisici, la Customer Journey classica (quella da evitare) consiste nel flusso lineare che porta i consumatori dal “Prendere” allo “Sprecare”. Cerca di espandere questa linearità trasformandola in un ciclo d’uso del prodotto. Sii tu stesso, che vendi il prodotto, a offrire delle facilitazioni per ripararlo, riciclarlo, restituirlo o riusarlo. In questo modo sarai anche tu parte attiva dell’economia circolare e renderai i tuoi clienti partecipi a loro volta.

Gli scarti di uno, il tesoro dell’altro: ecco come queste startup fanno sold-out con i rifiuti 16

Questo è il modello teorico della Circular Customer Journey a cui mirare. Rendiamolo pratico, ci stai?

  • Attira, educa, premia: Cambiare le abitudini delle persone è difficile. Se non lo fosse, avremmo già raggiunto da un pezzo gli obiettivi ambientali che ci siamo prefissati. Per convincere il tuo pubblico dell’importanza e del valore delle tue iniziative green, coinvolgilo in pratiche sostenibili, offri sconti o ricompense ai clienti che utilizzano prodotti riciclabili o che partecipano a programmi di riciclaggio. Queste strategie, da un lato ti aiuteranno a espandere la tua audience green, dall’altro contribuiranno ad accrescere la retention con chi ha già una mentalità planet-first.
  • Non nascondere il tuo impatto ambientale: Puoi migliorare, tutti possiamo farlo. Nel frattempo, però, accertati di non fare greenhushing. Si tratta di una pratica per cui i brand, per quanto si impegnino a fare del bene all’ambiente, non menzionano i propri sforzi per paura di essere criticati per ciò che ancora non fanno. Combatti il fenomeno, perché non fa altro che rallentare i progressi medi della società. Sii onesto su traguardi raggiunti e ancora da raggiungere, rivela i materiali utilizzati, i processi di produzione e le politiche ambientali adottate.
  • Ottieni una certificazione Cradle to Cradle: Si tratta dello standard per definire la qualità e la sicurezza dei prodotti realizzati tramite economia circolare. I parametri analizzati per guadagnarsela riguardano la salubrità dei materiali, l'indice di riutilizzo, la sostenibilità sociale, l'impatto idrico e l'impatto energetico. In base al punteggio totale ricevuto, il tuo brand potrà rientrare in uno tra i livelli della certificazione, cioè Base, Argento, Oro e Platino. A conferire la certificazione è l’ente indipendente Cradle to Cradle Products Innovation Institute.
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Alberto
Alberto
1 anno fa

Tema fondamentale che cerco di tenere sempre presente su ogni lavoro e per ogni cliente. 

La domanda per me non è solo cosa possiamo fare ma quanto tempo abbiamo ancora per poterlo fare.

Credo infatti che il tema dell’urgenza sia, ad oggi, l’aspetto più importante da considerare.

Come affrontare quindi questa urgenza per risolvere il problema nel minor tempo possibile? 

Per me concentrandosi non sul progresso fine a se stesso, ma su un vero sviluppo umano che consideri tutti gli aspetti dei bisogni umani, anche quelli culturali ad esempio, e produca nuove idee di futuro, sostenibili, eque e durature.

Come fare?

Acquisendo strumenti precisi di lavoro e tanto studio e analisi delle realtà che già si stanno muovendo, che servano anche a stimolare il confronto per poter creare condivisione e rete. 

Importantissimi e preziosissime quindi le analisi come queste proposte che offrono oltre che contenuti anche esempi concreti e riferimenti precisi di chi sta già facendo.

Grandi!

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