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Impariamo a conoscere la Generazione Z

21 Aprile 2023
Marketers

Il mondo s’è chiuso e c’è qualcuno che ha sofferto un po’ di più: è la fascia d’età che più di ogni altra si è abituata a stare insieme. Concretamente, virtualmente, naturalmente.

Parliamo della Generazione Z, quei ragazzi di oggi e di domani nati tra il 1997 e il 2012. Hanno tra gli 8 e i 23 anni, sono i primi ad aver avuto un mondo totalmente digitalizzato. Un bene o un male? Non di certo una scelta.

La GenZ ha imbarcato nel proprio percorso le nuove dinamiche della vita. Più semplice, ma allo stesso tempo più intensiva. Tra un iPad e una connessione veloce, la grande scoperta dei ragazzi è stata quella di un mondo a portata di click.

Ne ha aumentato l’ambizione, il coraggio, la risposta alle timidezze della vita.

Ma come nascono e (soprattutto) come continuano a crescere?

Come immergersi in un mondo sconfinato e allo stesso tempo così chiuso?

Non è un mistero: la differenza tra generazioni oggi è più marcata. E nel processo tecnologico sempre più frenetico, comprendersi è diventato difficile. Farsi comprendere, quasi impossibile.

Eppure, un modo per scardinare la generazione più diffidente – e per questo più attenta – esiste. Consiste nel trucco più vecchio del mondo: non sminuire un giovane in quanto giovane.

Il bagaglio di esperienze sarà pure più leggero, ma da questo non deriva meno consapevolezza di ciò che succede nel mondo.

Anzi.

phone

Le caratteristiche

Sapete come veniva definita inizialmente la GenZ? Homeland Generation.

Il motivo è triste, ma indicativo: era la generazione cresciuta all’indomani dell’attacco dell’11 settembre alle Torri Gemelle di New York.

Respiravano a pieni polmoni un clima di paura, sfiducia, pericolo.

E la prima previsione fu totalmente errata: si immaginava potesse essere una generazione più attenta ai confini, più sicura nel restare a casa. In realtà, i viaggi si stavano espandendo e con la possibilità di prenotare il giro del mondo con carta di credito, le distanze tra un’esperienza e l’altra si erano assottigliate.

Per questo, si andò di semplice logica. Da post-Millennials all’emergere della generazione alpha (oggi è la gen successiva alla Z), la ‘lettera ombrello’ raccolse sotto di sé tutti i nativi digitali. Per qualcuno, resteranno per sempre la iGen. E il motivo è forse superfluo da spiegare.

Comunque, alla sostanza, si trattava del primo filotto umano sciolto dopo la nascita del web, ai piedi di una rivoluzione tecnologica e umana senza precedenti.

Se prima si diventava adulti al possesso della prima macchina o con la chiusura di un ciclo scolastico, il bar mitzvah dei tempi moderni è rappresentato dal primo smartphone in regalo.

Da quel momento, si ha accesso all’identificazione del sé virtuale. Si diventa un consumatore finale. Si ha il primo contatto con l’esterno in un mondo iperconnesso.

Ovviamente, è un processo che oggi arriva a cavallo dei 12-15 anni. Sempre prima. Sempre più veloce. Trasformando persino i pre-adolescenti in un settore strategico per pubblicità e marketing.

Secondo una statistica del Pew Research Center, quasi tre quarti degli adolescenti ha uno smartphone. Il 12% dei teenagers non ne possiede uno, per volontà genitoriale o per mancanza di fondi.

Sono numeri emblematici. Del momento e di come la differenza tra online e offline, per questi ragazzi, praticamente non esista.

Non hanno gli strumenti per immaginare un weekend senza una connessione.

Senza scrollare il feed del social di fiducia. Hanno costante senso di orientamento, perso il gusto dell’ozio.

Ecco, parlare però della GenZ menzionando il solo processo tecnologico (per quanto fondamentale) è guardare il dito e non la luna: le generazioni sono oggettivamente trasformate dal periodo storico che li coinvolge.

Quali sono le condizioni in cui vivono, nel generale e nel particolare?

Rispetto alle altre Gen, la Z ha sempre navigato in un’era di profonda crisi economica. Questo avrebbe dovuto aiutare nella presa di responsabilità, nella determinazione. E in parte l’ha fatto.

Hanno obiettivi chiari e quindi sono più parsimoniosi. Più informati e allora meno propensi a correre rischi. Più dubbiosi, certo: perché possono permettersi meno errori in un mondo in cui si sa tutto di tutti e tutti sanno ogni cosa.

La vera svolta è un’altra ed è probabilmente la più importante di tutti: si tratta di una generazione multi-culturale e con idee politiche meno conservatrici.

Supportano le minoranze, sono aperti a un mondo globalizzato.

Non vogliono vedere calpestati i diritti, quelli di tutti. Dal mondo LGTBQ alla gender equality.

genz lgbt

Situazione finanziaria

Il periodo di crisi – che continuerà nei prossimi anni – ha attecchito sulla generazione Z, ma non ha influito in maniera determinante sulle abitudini consumistiche.

C’è un dato molto importante, emerso da uno studio Zopa: il 70% degli Z controlla il proprio saldo bancario ogni giorno.

Eppure, in tanti non hanno un vero e proprio know-how finanziario.

Qui entra in gioco anche la tematica scolastica: non c’è un corso di capacità di finanza e sulla gestione del denaro è educazione tramandata.

Come lavorano i social in questo senso? L’effetto che hanno è potenzialmente negativo.

Il ModernWealth Survey 2019 di Chalres Schwab sottolinea ad esempio come molti giovani abbiano speso molto più di quanto potessero permettersi.

Il motivo? L’emulazione. Per stare al passo degli amici. Per non essere da meno nei confini superati dell’apparenza.

E la promozione dilaga, mette in condivisione. Per chi ha meno di 40 anni, social e app sono il tramite perfetto per parlare con i brand. Per trovare tutto, ma proprio tutto, ciò di cui si sente il minimo bisogno.

Ovviamente, parliamo di un’era diversa, seppur incastrata in un biennio di distanza. Tra pre Covid e periodo Covid c’è una differenza enorme. E sul post Covid, ahinoi, non c’è nessuna certezza.

Se c’è stato un minimo aspetto positivo della grande attesa e dell’enorme paura del contagio, è che la costrizione a fermarsi, a guardare il mondo da un altro punto di vista e spesso da una finestra chiusa, ha portato ogni generazione a fare i conti con se stesso.

Le finanze sono diventate spesso il primo punto all’ordine delle priorità.

Ma per cosa spendiamo? Dove spendiamo? Perché spendiamo?

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Lo spettro è impossibile da definire: le prime necessità producono quanto gli acquisti per noia.

Lifestyle

Cambia però il modo di intendere le influenze e dunque gli influencer. I Gen Z sembrano infatti scegliere nuove icone da cui farsi “consigliare” rispetto ai loro predecessori.

Si fidano solo di una cerchia ristretta, delle persone che popolano ogni giorno la loro vita. E allora la famiglia, gli amici. Persone di cui si fidano, di cui conoscono vizi e virtù. Non le celebrità, non il patinato. Ma l’impegno tangibile.

Ecco perché la iGen ha bisogno di vedere l’impegno concreto dei brand: non devono solo mostrarsi, ma farsi portavoce di questioni importanti dell’attualità. Prendendo posizione. Definendo i loro limiti politici, sociali, ambientali.

Per un brand che ha bisogno di conquistare questo target, è un aspetto fondamentale.

Prendiamo l’esempio di Gucci: è il marchio più vicino alla GenZ; prendiamo l’esempio di Balenciaga. Sono case di moda storiche, ma hanno saputo cambiare nel momento giusto.

Hanno preso ispirazione nel modo di comunicare, hanno modificato i contenuti. Hanno realizzato un’estetica ad hoc.
Hanno saputo sfruttare certamente i social. Hanno aperto immediatamente a TikTok (lì i brand possono comunicare in maniera diretta). Hanno sfruttato il gaming.

  • Moschino ha aperto una partnership con The Sims.
  • Louis Vuitton con League of Legends.
  • Gucci e Ralph Lauren hanno presentato il virtual clothing: videogioco popolato da vip per lanciare la collezione primavera/estate ’21.
  • Lo show di Burberry? Andato in onda su Twitch.

Twitch Burberry

Claire Madden, autrice di “Hello GenZ: Engaging the Generation of Post-Millennials” dà una definizione importante:

“Gli appartenenti alla Generazione Z riescono ad adattarsi facilmente al contesto lavorativo e non hanno paura di trasformazioni e transizioni. Hanno solo bisogno di un ambiente in cui possano esprimere il loro potenziale e riuscire a portare innovazione.”

Il panorama italiano: i numeri

Come cambiano le informazioni se rapportate al nostro paese?

In realtà, proprio non cambiano. Né per la parte più vecchia – che ora si sta affacciando al mondo del lavoro -, né per la parte più giovane.

Ma cosa sognano? E qual è la vita di tutti i giorni?

Parlano sempre di una generazione coi piedi per terra. Secondo uno studio di AstraRicerche, la iGen è prontissima ad affrontare il mondo più in trasformazione di sempre.

Come? Attraverso la realizzazione di sé. Che non equivale automaticamente a un lavoro stimolante o particolare: solo il 31% degli intervistati lo inserisce infatti tra le priorità, mentre fama e successo toccano appena il 6%.

Realizzarsi, per gli italiani, vuol dire avere la possibilità di vivere a pieno ogni possibilità.

Dunque, vivere nelle grandi città (sogno di più della metà degli intervistati), un lavoro stabile e da dipendente, allontanarsi anche fisicamente dall’ambiente familiare. Solo il 57% pensa di restare in Italia, il 30% si vede in giro per l’Europa. Il sogno americano è fermo al 13%.

Essere felici, insomma. Che vuol dire stare bene con se stessi, oltre all’aspetto fisico. Avere un clima sereno e dare valore profondo all’amicizia, tema centrale per la GenZ. Che riscoprono l’importanza dei genitori e non necessariamente vanno contro chi li educa (al contrario della maggior parte dei romanzi di formazione).

friendship

Il 55% si lascia ispirare da chi li ha messi al mondo, mentre perdono quota i personaggi dello spettacolo o punti di riferimento come blogger e influencer.

Amore e salute vanno di pari passo e superano nettamente il lavoro e la scuola.

Del resto, i centennials sono una generazione inclusiva, attenta a ogni dinamica, aperta alla diversità. Abituata a salvaguardare l’ambiente e a non sprecare: hanno una consapevolezza importante di chi e di cosa gli sta intorno.

E in questo hanno aiutato tanto i social: oltre la metà si informa principalmente attraverso Facebook o Instagram. Per il resto, tanta musica, tanti servizi streaming. Connessione costante.

Cambia pertanto anche il percorso di crescita. Rispetto al passato, si abbassa la percentuale di bullismo e aumenta quella della felicità media. Si abbassa anche la percentuale di rischi: un dato incredibile è dato dalla crescita delle assicurazioni.

Il 65% dei Z possiede almeno una polizza stipulata da loro o dai genitori; chi viaggia assicura salute volo, valigia o lo stesso viaggio. Il 21% ha una polizza sul device.

E i consumi? Il 79% ormai acquista online. Il 21% però si fa condizionare dagli influencer. Il mercato fisico (oggi preferito solo dal 40% degli intervistati), al dettaglio, è prerogativa del pubblico femminile e resta in calo.

L’utilizzo dei social

I social, chiaramente, sono la casa della Generazione Z. E vien da sé che, tra tutte, è la fascia d’età che trascorre più tempo sui social media. 2 ore e 55 minuti al giorno, +18% in un anno.

Per capirci: i Millennials sono a 2 ore e 38 minuti e crescono di appena 7 minuti all’anno.

Ma quali sono le piattaforme che preferiscono?

Youtube è al primo posto: 89%. Subito dopo c’è Instagram (74%). Facebook resiste, ma insieme a Twitter siamo più sul terreno dei Millennials. Whatsapp è invece al 66%. E Telegram continua a crescere.

Emerge però un quadro particolare da un’indagine di GlobalWebIndex. La GenZ è l’unica a non diversificare l’esperienza internet.

Cosa vuol dire? Che trattano il social appunto come una casa, dove c’è conforto e rassicurazione:

  • Sono sui social per cercare vestiti da acquistare
  • Sono sui social per informarsi
  • Sono sui social per svagarsi

Hanno sostituito persino i motori di ricerca con un hashtag Twitter. E fa capire come qui si sia di fronte a una generazione di utenti nata osservando prima i social di qualsiasi altro sito web.

social media

A livello globale, secondo la ricerca, gli utenti non usano più i social per restare in contatto con gli amici: la crescita della vendita diretta via piattaforme è cresciuta del 30% in 3 anni.

Come fare per attirarli attraverso questi mezzi? Eccovi 5 consigli utili:

  1. Personalizzazione dei contenuti: dinamismo, originalità, attenzione ai dettagli.
  2. Autenticità del brand: nulla di costruito, rafforza l’identità del tuo brand. Sincerità e trasparenza sono valori non esattamente facili da ritrovare, ma semplici da portare avanti!
  3. Non essere invadente: comunica solo informazioni pertinenti, dai sempre una possibilità di scelta all’utente.
  4. Temi sociali: attenzione all’attualità, scegliere le ‘battaglie giuste’. Soprattutto, crederci davvero.
  5. Comunicare sulle app di messaggistica: promozioni, informazioni e assistenza. Devi essere sempre – sempre! – raggiungibile.

Ricorda: la GenZ si rifiuta di accontentarsi di obiettivi, ha altri ideali rispetto alle generazioni precedenti.

Ogni campagna marketing non dev’essere una lezione: non hanno il sentore di bisogno primario, non vogliono una paternale come quella dei propri genitori.

Aiutali a prendere una decisione, una direzione. A esprimere se stessi, secondo la loro volontà.

L’utilizzo dei media

44 miliardi di dollari. Secondo quanto riportato da QuestionMark, la GenZ possiede una “paghetta” niente male. Dove vanno a finire questi soldi? Soprattutto in tecnologia.

I giovani utilizzano in media cinque dispositivi (contro i 3 dei Millennials): desk, smartphone, notebook, TV e tablet. La soglia media di attenzione è pari a 8 secondi. E preferiscono una dimensione visuale rispetto a quella testuale.

Come “colpire” è allora un altro discorso. Dal generale, il consiglio è quello di passare al particolare: bisogna adattarsi alle tendenze e ai gusti del pubblico più giovane.

Come? Investendo le proprie risorse sui canali giusti, a patto di assicurarsi un ritorno sugli investimenti.

Per brand e agenzie una soluzione può essere l’influencer marketing. Social, creators in gamba (soprattutto reali e autentici), in linea con i valori del prodotto e con contenuti che non sembrino advertising.

Il marketing deve infatti allontanarsi dalla vecchia concezione di sé. Deve entrare in una dimensione altrettanto chiara, ma anche un po’ subdola.

Attorno, attenzione a creare una narrazione convincente. Che possa creare concretamente engagement.

Per raggiungere la generazione Z bisogna andare nelle loro piazze virtuali. E i canali preferiti sono 3, in ordine di preferenza andiamo da TikTok a Instagram, fino a Youtube.

Su TikTok, ad esempio, cosa va fatto? Il feed dell’app è pieno di video verticali e ci sono generi molto diversi tra loro.

Oltre 600 milioni di utenti e tantissima versatilità: solo da sfruttare.

Come realizzare campagne di marketing?

Spesso sono gli stessi creators a definire i format di contenuto, cioè ciò che fa tendenza, che va forte.

Sono indizi anche per chi deve veicolare un messaggio, l’importante – ribadiamo – è che il contenuto sia originale e fresco, che “non sembri marketing”.

  • Un’idea: può essere ideata una campagna sotto forma di “sfida”. Una challenge che possa diventare virale e coinvolgente.
  • Un’altra idea: ideare il tutto attraverso lo stile di un influencer. A patto che il tutto rimanga credibile.

Su Instagram, il discorso è leggermente diverso: storytelling e blogging possono essere dei fattori importanti. Trovare persone che possano esprimere un valore è fondamentale e i creators devono dunque essere lasciati liberi di poter parlare al proprio pubblico.

Tra post e Stories? Molto meglio le stories. Se possibile, chiaramente, entrambi non guastano mica.

Infine, Youtube: l’unica pecca è lo scroll veloce, dunque gli 8 secondi di attenzione. O sei un fenomeno ad attirarla, oppure serve un prodotto di estrema qualità.

youtube

Le differenze con i millennials

A prescindere, un po’ di nozioni da ricordare: se la Gen Z è la più abituata al virtuale, non vuol dire che possa fare tutto via computer o smartphone. Anzi.

Secondo uno studio HSBC, la GenZ è più propensa a toccare con mano i prodotti che vuole acquistare. A vivere di esperienze. A non chiudersi nei propri sogni, ma a vivere a pieno.

Ecco, sono più propensi a sostenere piccoli rivenditori oppure brand che rispettano e aiutano l’ambiente. Questo potrebbe essere un vantaggio per le piccole attività che stanno riaprendo con fatica dopo il nuovo lockdown.

Il marketing aziendale può essere allora produttivo. E differenziarsi a quello destinato al percorso dei Millennials. Il motivo? Ci sono alcune differenze tangibili.

A partire dalle abitudini di acquisto e di consumo dei media (cambiate anche dalla pandemia).

Una frase meravigliosa è fornita da ThinkWithGoogle: la differenza sostanziale tra i due gruppi di persone è che se la generazione Y si gode la vita, la Z cambia il mondo.

Secondo uno studio FutureCast, i millennial seguono l’approccio del “si vive una volta sola” e cercano di trarre il massimo dalle loro vite. Vogliono godersi tutto. Il viaggio è più importante della destinazione.

Corrono rischi, certo. E preferiscono vivere un’esperienza piuttosto che acquistare un prodotto.

La GenZ è più pratica: il 60% sceglierà un prodotto fisico, invece di un’impressione passeggera (40%).

Ma i più giovani hanno anche maggiore ambizione: tra i centennial, il 60% vuole cambiare il mondo e renderlo un posto migliore.

Il sogno, utopistico, cambia con la fiducia importante nei propri mezzi: vogliono essere presi sul serio, raggiungere i propri obiettivi.

Non hanno confini, non hanno un genere particolare, non hanno nemmeno uno spazio definito.

Per Voxburner, il 71% dei centennial è interessato alla realtà virtuale. Tra i millennial c’è il 18% in meno di interesse.

Insomma, se gli Y pianificano, gli Z sono spontanei; se gli Y usufruiscono, gli Z creano. Chiaramente, secondo le stime…

Il linguaggio utilizzato

“BaeBae”. “Blast”. “Ok, boomer”.

Se l’avete sentito, se soprattutto non sapete di cosa stiamo parlando, allora vuol dire che siete ben lontani dalla GenZ.

Cambiato tanto, tutto, specialmente il linguaggio. E per comprendere la nuova generazione, c’è chi ha scritto libri e chi ha provato a entrare in quel mondo.

In pochi, però, hanno parlato direttamente con i ragazzi. Con i protagonisti.

Che lingua parla la generazione zeta?

Mettiamola così: il medium è certamente il messaggio, e cambiando medium è cambiato anche il modello linguistico. Si sono modificate le abitudini.

Babbel, piattaforma online per l’apprendimento delle lingue, ha stilato allora una sorta di glossario dei neologismi più utilizzati. Soprattutto sui social.

Si va dai boomers allo “slang easy”, la parlata semplice, fino alle abbreviazioni.

La più famosa, dati i tempi, è LOL: laughing out loud, ossia ridere ad alta voce.

WTF è what the f**k ed evitiamo traduzioni letterali. BTW? By the way. EpicFail è un fallimento epico, “facepalm” è invece la mano in faccia (per la vergogna). Trolling è provocare e disturbare la comunicazione.

Per capirci, insomma, si gioca sui momenti e sulle sensazioni, sulla comunicazione che è certamente più immediata.

Ed è un tema, questo, da non sottovalutare.

wtf

Le testimonianze

Dal particolare va però analizzato il generale. Come si parla in fondo alla GenZ? Quali sono i temi più caldi, più adatti, più d’impatto?

Ne abbiamo parlato con gli esperti del settore: tre famosi TikTokerz italiani, che dalla loro arte hanno modellato un nuovo tipo di influencer.

Video dopo video, @sebastianofighera@sayrevee e @hey.sober hanno saputo farsi spazio in un mondo sconfinato e allo stesso tempo chiuso. Con gli strumenti adatti, è arrivato il loro spazio d’influenza, in cui veicolano messaggi molto differenti tra loro. Anche, soprattutto brandizzati.

“Parlare con la GenZ è abbastanza complicato. Servono concetti semplici, esaustivi, veloci, chiari. Non legge e ascolta per sapere; legge e ascolta per capire. Su TikTok, mettere il pubblico in una situazione interrogativa dà un vantaggio e viene ripreso sul 90% dei contenuti”, ci racconta Revee.

Inclusività, anti-razzismo, no omofobia: sono sicuramente i pilastri dell’etica della GenZ.

“I ragazzi amano il gossip, amano le discussioni e i drammi. Ma amano anche conoscere nuove cose, ascoltare consigli per migliorare la propria persona”, aggiunge Hey.Sober.

Ma si possono trasportare questi valori in un video?

“Assolutamente sì, l’importante è poi non diventare oppressivi sulla prima, rischiando di diventare giustizieri del web”, ancora Revee. Se qualcuno non è pronto ad affrontare certi temi, va anche bene. È una questione di tempo.

E di qualità del prodotto.

Spiega Hey.Sober: “Il bello di TikTok è la creatività. Secondo me il modo migliore per raccontare una storia o un prodotto in un video è con uno sketch divertente o semplicemente condividerlo con lo stile della persona che pubblicherà il video. Inoltre se un TikToker ha instaurato molta fiducia con il suo pubblico lo può anche direttamente consigliare usando o mostrando il prodotto in questione alle persone che lo seguono”.

Ecco, ma TikTok è diverso da Instagram ed è certamente più vicino alla GenZ. Dunque, cambiano contenuti e “contenitori”.

Ancora Hey.Sober: “Le persone all’interno sono più piccole ed essendo nati in una generazione in cui internet e i social hanno preso il sopravvento si legano di più alle persone che stanno dall’altra parte dello schermo fidandosi e ascoltando i loro consigli, anche se non le conoscono direttamente”.

Dunque, è un tipo di influenza ben più forte.

E per far sì che funzioni, Revee spiega il modus operandi:

“Il video deve essere semplice, efficace, comprensibile, veloce, ma soprattutto, affiancato a qualcuno o qualcosa che ispiri fiducia. Nessuno guarda le ADS di Tiktok, figuriamoci un placement o un video sponsorizzato randomico non affiancato a qualcuno o qualcosa di cui si ha stima”.

Come si cattura l’attenzione, allora?

“Forse il modo più efficace sarebbe ‘memezzare’ il proprio prodotto [renderlo un meme], a discapito però del valore e del posizionamento dello stesso”.

Non tutte le aziende sono d’accordo: ma è una strada.

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