marketers-dive-music-market

Emergere nel mercato musicale: tutto quello che devi sapere

21 Aprile 2023
Marketers

Mezzi, musica e passione.

Per iniziare, mai come in questi anni Venti, possedete già tutto ciò di cui avete bisogno.

Disponete di un mercato mai così colmo di alternative, ma anche una richiesta mai stata così forte.

In questo spazio andremo allora ad approfondire il lancio – pratico e mediatico – di un lavoro musicale e il mercato che vi ruota attorno, partendo dai numeri e costruendo solidi esempi.

Dai cambi di ritmo dettati dallo streaming, alla comunicazione necessaria per arrivare a chiunque.

Dai numeri del nuovo mercato, alle previsioni (più che rosee) per il futuro. Step by step, fino ai consigli pratici degli esperti del settore.

È cambiato tutto per non cambiare nulla.

music

La musica è nella sua fase più gattopardiana, di sempre.

Il motivo?

Se la fruizione si è drasticamente modificata, la passione per il concetto in sé è semplicemente aumentato.

Oggi le canzoni continuano ad emozionare nuove e vecchie generazioni: è la forma d’arte probabilmente invecchiata meglio, anche perché non ne esiste una similare.

La musica è bella proprio nella sua diversità. Arriva a tutti. Arriva ovunque. Colpisce tutte le esperienze e di tutte le esperienze si fa portavoce.

Dai nastri a Spotify, è il mondo attorno a essa – e quindi i profitti – a essere cambiato.

Oggi, in Italia, la musica vale 228 milioni di euro e il settore cresce del 2,6% ogni anno.

Il merito è dello streaming e su questo nessuno osa porre dubbi e quesiti: parlano i numeri, a partire dalle valutazioni degli abbonamenti delle piattaforme.Insieme a Deezer, Spotify raggiunge un totale di 66,6 milioni di euro.

Dati della FIMI (Federazione Industriale Musicale Italiana) che ha messo insieme il mercato interno nel 2019.

Ora, immaginate nell'anno della pandemia le persone costrette a rimanere in casa e il mangia-mp3 che va di continuo.

Le azioni sono schizzate in altissimo.

E fortunato chi ci ha creduto a tempo debito!

Il mercato non è dunque cambiato, semplicemente si è riattivato e ha saputo correre insieme ai tempi in cui ci siamo ritrovati a vivere.

Lo streaming ha raggiunto circa il 50% della “torta nazionale” (Wired) e ai 66,6 milioni di euro degli abbonamenti vanno naturalmente addizionati quelli delle pubblicità.

Da un clic sui video musicali riprodotti online arrivano 17,7 milioni; la pubblicità sulle piattaforme arriva a quota 10 milioni.

E il mercato fisico? È indietro. Parecchio.

Incide per circa 60 milioni di euro. Due anni fa era calato del 27% rispetto ai due anni precedenti.

C'è stato il crollo dei CD (venduti per 57 milioni di euro) e i vinili non avevano ancora completato la transizione verso l’oggetto di culto che consideriamo oggi.

In un anno – e l’abbiamo vissuto sulla nostra pelle – può cambiare tanto: a inizio 2021, la British Phonographic Industry (BPI) ha annunciato che 4,8 milioni di album LP sono stati venduti nel Regno Unito.

Per capirci: è il 10% in più di un mercato che sembrava sepolto.

E ciò accade negli Usa, in Canada, nella stessa Italia, dove il mangiadischi è tornato centrale nelle case, poiché a determinate atmosfere – se si ha la possibilità – si ritorna sempre volentieri.

Il confronto con il passato

guitar

Money, it's a gas.

Lo diceva Roger Waters, bassista e pietra miliare dei Pink Floyd, che un po' di storia della musica l'hanno messa pure in tasca.

Gli anni Settanta erano il mondo nella sua massima espressione: la rivoluzione tecnologica era implementata ma non aveva raggiunto la velocità della luce degli ultimi trent'anni.

I giovani erano liberi. Belli. Forti. Infiammati da un nuovo modo di raccontare il mondo e dal suono delle schitarrate, che davano gas, appunto.

Adrenalina. Possibilità.

E l'industria discografica era capace di cavalcarle tutte queste onde: 802 milioni di dollari, per un giro d'affari globale di 4,5 miliardi di dollari (Il Sole 24 Ore).

Le rockstar, per la prima volta, raggiungevano dimensione planetaria e la certezza alla base era netta: da quel loop nessuno sarebbe più uscito, se non per propria volontà, come del resto fecero i Beatles all'apice della loro maturazione artistica.

Dopo arrivarono i Rolling Stones e i Led Zeppelin, dai 33 giri alle musicassette. I maxi-raduni e centinaia di migliaia di spettatori.

Si creò un format e qualcuno inventò il mercato del diritto d'autore: perché la musica sarà pure di tutti, ma è soprattutto di chi la produce.

Era tutto oro e non c'era neanche bisogno che luccicasse.

Solo uno sconvolgimento dei sistemi avrebbe potuto mettere in crisi un movimento da miliardi di dollari e un mercato che non aveva mai conosciuto una flessione (come in fondo quello televisivo).

Internet è stata la più grande rivoluzione, prima di diventare parte del capitalismo più sfrenato.

E dopo l'esplosione di Napster nei primi anni Duemila e la diffusione del libero download – non di certo legale – di file mp3, i ricavi degli anni Novanta si sciolsero come neve al sole.

Un market pool da 39,6 miliardi quasi scomparso, dimagrito fino a 14,3 miliardi di dollari nel 2014, quasi di 1/3. Così. Con un click dal potenziale devastante.

Come reagire?

Per lungo tempo, la discografia è rimasta nelle sabbie mobili della supponenza.

Poi ha reagito, come ha sempre fatto dopo la morte di un supporto e la nascita di un altro: ha capito, soprattutto, che ad essere in crisi non era certo il mercato della musica (mai così richiesta), bensì il modus operandi della vendita.

Doveva capire come infilarsi in una storia nuova, inesplorata, nei vicoli bui e nelle zone d'ombra in cui non ci si poteva neanche appellare a una sorta di giurisprudenza.

È un mercato di forti inseguimenti e nelle ultime stagioni le case discografiche hanno corso più di tutti: basti pensare a questi giorni di trattative con i principali social network per stabilire come e quanto spettasse al diritto d'autore per un video su TikTok e una classica storia Instagram.

Quanto vale oggi

Ora, scordate che si possa tornare a cifre da seconda metà del Novecento.

Mettetele nel dimenticatoio o nei giorni felici, se qualcuno di voi ha avuto la fortunata possibilità di viverli.
Immergetevi quindi in un mondo totalmente rivoluzionato dallo streaming.

Oggi sfiora i 20 miliardi di dollari (lo racconta l'ultimo rapporto IFPI).

I fatturati sono di nuovo in crescita e la consapevolezza resta: certi equilibri sono completamente saltati e l’Asia è la nuova locomotiva della discografia mondiale.

Da bene è diventata servizio, la musica, e la vera domanda è: quanto può arrivare a valere?

Secondo una stima del Sole24Ore, in un'era pre-pandemica, si ottiene una cifra totale di 69 miliardi di dollari.

Parliamo di diritti d'autore, concerti, strumenti musicali; parliamo di valore complessivo, che in Italia muove 1,4 miliardi di euro. Soldi che spesso – o meglio, sempre più – arrivavano dai concerti, oggi appesi a un filo.

Ecco perché sarà determinante capire come reagirà la musica, intendendo il mercato globale e quindi anche la sfera concertistica, alla ripresa post Covid.

Risorse Marketers
Marketers Dive - Music Market

Iscriviti gratuitamente a Marketers o accedi per scaricare questo contenuto in PDF e leggerlo quando preferisci. Riceverai anche 20/80, la newsletter per ricevere il meglio del marketing, ogni sabato alle 10:00.

Scarica la versione impaginata di questo Dive per leggerlo quando vuoi e dove vuoi

*Ti stiamo chiedendo una password perché iscrivendoti ti verrà creato un account che ti darà accesso all'intero ecosistema marketers; community, newsletter e funzionalità premium del sito.

L'esempio colmo di speranza è rappresentato dai Maneskin: freschi vincitori di Sanremo, hanno svelato le date iniziali del nuovo tour – dicembre 2021 – ponendo smisurata fiducia nella chiusura del cerchio pandemico grazie alle ultime notizie sui vaccini.

Altri non hanno osato farlo; c'è poi chi dovrà recuperare tour interi dai quali hanno parzialmente incassato, vedi le date di San Siro di Max Pezzali o gli stadi per Cesare Cremonini.

Questo, chiaramente, per restare solo in Italia: immaginate solo i milioni andati in fumo, o almeno messi a riposare in un angolo.

Mentre Franceschini promette 50 milioni di euro in aiuti al settore, per live club e concerti, per autori e artisti, la Siae ha pubblicato i numeri drammatici del 2020: la spesa del pubblico è diminuita dell'82,24%, da 2,8 miliardi di euro nel 2019 è passata a 623 milioni circa del 2020.

Il settore dei concerti resta tra i più colpiti con l'89,73% in meno, seguito dal teatro (77,94% in meno) e dal cinema (74%).

E la possibile ripresa non coinciderà direttamente con la riapertura: sarà tutto graduale. E tutto più caro.

Le piattaforme streaming

Ma quali sono le piattaforme più utilizzate oggi? Soprattutto, come hanno potuto cambiare il mercato?

Innanzitutto, c'è da fare una premessa: non esiste più un solo modo per ascoltare musica e questa è stata la più grande rivoluzione degli ultimi anni.

Il ‘c'era una volta' ci porta a parlare del vinile, per decenni unico supporto; fu accompagnato dall'audiocassetta – sviluppata negli anni Sessanta, il boom arrivò a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta – e definitivamente sostituito dall'introduzione dei CD.

Un pezzo di storia, della storia di tutti noi, reso però obsoleto dai formati digitali, soprattutto con la compressione offerta dal file mp3.

Questa è l'ultima innovazione che ha interessato il mercato discografico e che ha poi portato alla piattaforma streaming.

disk

La formula dell'acquisto è stata dunque rimpiazzata dal noleggio in abbonamento.

Gli utenti possono avere tutto e subito. Di qualsiasi anno. In qualsiasi luogo. La musica non è il centro dell'universo, si è fatta sottofondo della vita.

Il diritto di accesso, dunque, è cambiato ed è diventato diritto di proprietà.

Fu Napster a sancire la necessità dell'abbonamento: ma i tempi erano troppo acerbi e la pirateria online – ci troviamo all'inizio del nuovo millennio – sembrava incontrastabile.

Ognuno ha avuto bisogno di tempo: i tecnici per mettere a punto un sistema streaming efficace, i burocrati per permettere un guadagno importante e universale, gli artisti per capire le potenzialità e l'importanza di arrivare “telematicamente” a un pubblico sempre più vasto.

E gli utenti, sì, fruitori finali che con dieci euro al mese di media possono avere tutta la discografia che è stata e che sarà a propria disposizione su qualsiasi dispositivo.

Niente male, no?

Il cambiamento più grande l'ha portato proprio Spotify: stringendo accordi con tutte le case discografiche, garantendo pari diritti – e non solo d'autore – da Bruce Springsteen fino al ragazzino che tenta di sfondare in classifica, oggi rischia di avere il monopolio della fruizione musicale.

spotify

La concorrenza è importante, ma non può certamente differenziarsi in alcun modo (salvo per accordi particolari con gli artisti) se non nel prezzo di vendita.

Deezer, ad esempio, parte da una media di 15 euro; TIDAL garantisce invece una qualità elevata per 20 dollari al mese.

Google e Apple, giganteggiando nel mondo della telefonia, hanno provato a contrastare Spotify con prezzi vantaggiosi: 7,99 euro per chi si è abbonato sin da subito; Apple a soli 4,99 euro per gli studenti.

Idea simile per Amazon, che ha la fortuna di poter inserire questo servizio nel suo Prime: di fatto, un vantaggio indiscutibile per chi possiede già un abbonamento.

Il mercato del sottofondo

Avete presente quando siete al centro commerciale e parte un pezzo solo da canticchiare?

Ecco, pure quello è un mercato.

E’ il mercato del sottofondo, nascosto ma non per questo meno remunerativo.

Si chiama public performance ed è la diffusione di musica B2B in locali come esercizi pubblici, negozi o grandi superfici.

Sempre più rilevante per le case discografiche, che nel 2019 hanno potuto notare come l'incasso complessivo della principale gestione attiva sul mercato, la SCF, abbia potuto superare i dieci milioni di euro solo in questo segmento.

È chiaramente un mercato di tipo internazionale e proprio globalmente raggiunge gli 850 milioni di dollari, diventando così una quota rilevante degli incassi che provengono dai diritti musicali (superano addirittura il broadcasting).

È un modello di business che con la pandemia chiaramente ha dovuto interrompere la sua crescita, che però con ritmi normali sembra in costante espansione e in futuro certamente riprenderà la sua corsa.

L'Italia è l'ottavo mercato al mondo per ricavi in questo settore e tutto si svolge via streaming, con playlist dedicate o semplice riproduzione shuffle.

Come racconta Agenda digitale, quasi il 90% degli esercizi commerciali passano musica per una media di 4-5 giorni alla settimana: il problema è che lo fanno dalle piattaforme di streaming personali e non è certamente autorizzata dalle licenze.

Spotify lo chiarisce nelle linee guida e invita a seguire la sua versione ‘spin off', ossia Soundtrack Your Brand.

In Italia è presente anche MCube: sviluppa i contenuti on-demand e gestisce aggiornamento e produzione di playlist verticalizzate e in linea con la strategia dei brand.

Il caso Spotify

Come sappiamo, la maggior parte degli artisti si appoggia alle etichette musicali firmando contratti pluriennali per l’uscita di molteplici album.

Normalmente, accade che i produttori s’impegnino a versare un anticipo che copra le spese di produzione e altri costi.

Le etichette si impegnano a produrre, distribuire e promuovere la musica; in cambio, chiedono e ottengono i diritti di sfruttamento, oltre alle copie master.

Come vengono pagati gli artisti? Con le royalties. Che vanno dal 15% al 20% per le star, ma solo dopo aver coperto le spese sostenute.

Ora, per decenni la musica è stata registrata e venduta su supporti fisici. Vinile e CD, venduta in diversi canali. Con l’avvento di Internet è naturalmente cambiato tutto.

Nella linea del tempo, l’anno cruciale è il 2000: nel 1999 nasceva Napster, ma nel 2001 era già finito.

Un gran numero di imprese in quel biennio erano sorte perseguendo lo stesso obiettivo, spesso ricalcando le loro stesse orme.

Il download digitale è di quegli anni lì, così come il lancio di iTunes da parte di Apple. Lo store iniziava a vendere un brano a 99 centesimi di dollaro (alcuni a 1,29 dollari); nel 2008, Apple riesce a sorpassare Walmart come rivenditore musicale.

Poi arrivò Amazon. Poi tanti altri, fino a Spotify. Che nacque da paradosso: imitò il concetto cardine della pirateria – tutto, subito e gratis – e allo stesso tempo riuscì a sconfiggerla.

Fino a un decennio fa, cd e pirateria continuavano a essere un problema: erano addirittura più di 80 milioni le persone che puntualmente si rivolgevano al “mercato nero” per avere a disposizione un catalogo illimitato di canzoni e tutte a costo zero.

Per la promozione, la radio restava il mezzo più utilizzato per scoprire nuova musica e i produttori discografici la usavano per promuovere nuovi brani e nuovi album.

radio

Qui intervenne Spotify, nella distanza tra il giusto e l’ingiusto, tra il lecito e l’illecito.

E allora, nel 2006, due imprenditori svedesi decisero di dar vita a una soluzione musicale nell’industria discografica, che era in crisi profonda nonostante non si fosse mai ascoltata così tanta musica come allora.

La loro idea fu esattamente quella di ispirarsi alla pirateria: l’intenzione era di garantire però dei ricavi all’industria discografia.

La pirateria per i due fondatori aveva cambiato per sempre la mentalità dei giovani, per loro la musica si poteva ottenere gratuitamente con un click.

Dunque, non c’era nulla da vendere.

Semmai c’era da fornire: una grande libreria musicale, proprio come accadeva con i Torrent.

L’aveva già fatto Napster, ma lì andava scaricata e il processo si interrompeva.

Spotify era il giusto mezzo: tutta e subito, la musica. Non download: streaming.

Il modello Freemium

I fondatori si preoccuparono di quattro servizi essenziali:

  • un’interfaccia facile e piacevole da usare.
  • il tempo d’attesa ridotto a zero tra selezione e ascolto.
  • la fornitura di un catalogo pressoché illimitato.
  • la possibilità di riproduzione su qualsiasi device.

In 2 anni fu lanciato negli altri mercati europei, altri 3 anni per avere i diritti delle case discografiche americane. Del resto, la concorrenza era ardua: Deezer, Pandora, Rdio, KKKBOx, WImp (e questi erano solo i più importanti).

Amazon, Google, e Samsung avevano già i loro servizi di streaming; nel 2015 Apple aveva accordi con 110 paesi, Spotify solo 58.

Non solo: chi aveva un iPhone, cioè 800 milioni di utenti, aveva già installato Apple Music.

Era una scalata, insomma.

Ma i fondatori avevano il modello vincente, chiamato Freemium.

E cioè: gli utenti ascoltano musica gratis, però devono pure sorbirsi la pubblicità dopo un certo numero di minuti.

Altrimenti possono decidere per la versione premium che dà diritto all’ascolto senza interruzione e promette una qualità del suono superiore.

Dal 2012 al 2016, Spotify è passata da 13 a 60 paesi; nel 2016 ha fatto ricavi per quasi 3 miliardi di dollari (509 milioni di costi), ottenendo 140 milioni di utenti e di questi 48 milioni paganti.

Oggi ha oltre 1200 dipendenti.

Quanto paga ad artista?

Il 2013 è stato l’anno della svolta: per la prima volta Spotify aveva grossi numeri a supporto della propria tesi.

Tre anni prima, l’80% dei ricavi del mercato digitale negli USA erano di iTunes; nel 2013 in Svezia il mercato digitale (94%) era già lo streaming.

E si ebbe una crescita dei ricavi dell’industria musicale che non si vedeva da anni!

Qui arrivò il piano di “pagamento” ad artista: nello stesso anno, Spotify dichiarò di pagare tra lo 0,006 e lo 0,0084 centesimi di dollaro ad ascolto.

Per capirci, ogni 1000 ascolti, arrivava a 6-8 dollari.

Un prezzo decisamente diverso da iTunes: dei 99 centesimi, circa 69 vanno alla casa discografica.

Facendo due calcoli, un artista – senza accordi commerciali diversi – deve raggiungere oltre 47mila riproduzioni per raggiungere il costo di un album normale.

Molti artisti sono entrati in polemica con Spotify, scegliendo di ritirare i loro brani: Radiohead, Adele, la stessa Taylor Swift che ha poi concesso i diritti ad Apple Music.

Insomma, c’è mercato e quindi c’è lotta.

E il futuro? Destinato alla crescita. In maniera praticamente esponenziale.

renato gioia

Come racconta Renato Gioia nel suo Podcast – proprio su Spotify – la storia può ripercorrere le gesta di Donald Sterling: acquisendo i Clippers in NBA negli anni Ottanta, fu coinvolto in uno scandalo e costretto a cedere la società per alcune frasi palesemente razziste.

Ebbene, dai 12 milioni di dollari del prezzo d'acquisto passò ai 2,2 miliardi del prezzo di cessione.

Questo accade pure a Spotify: con l'acquisizione del podcast esclusivo di Joe Rogan con un accordo da oltre 100 milioni di dollari, cosa ha dimostrato?

Solidità e selezione dei contenuti.

Nessun competitor l'ha mai fatto.

Quali sono i nuovi trend

È il tempo della “musica leggerissima”, ma pure della musica “cortissima”.

Perché?

Nel 2019, la lunghezza media dei brani della TOP40 è stata di tre minuti e sette secondi. Si è trattato di 30 secondi in meno rispetto all’anno precedente.

E questo è in gran parte un sottoprodotto dello streaming, della scoperta attraverso le playlist. Di conseguenza, le strutture tradizionali delle canzoni pop sono gettate fuori dalla finestra per ridurre le possibilità di essere skippate in un mazzo di altri 52 artisti.

Dunque, occorre accorciare le canzoni per entrare nelle playlist?

Da un punto di vista commerciale, accorciare i brani potrebbe essere un compromesso intelligente. A meno che non abbiate una fan base già interessante, per la quale non varrebbe la pena cambiare modo di portare avanti il vostro percorso.

Prendiamo l’esempio della band TOOL: hanno avuto, appena due anni fa, il primato per media ascolto. Vuol dire che c’è fidelizzazione e che sarebbe innaturale per loro cambiare registro.

Ecco, discorso diverso per chi deve ottimizzare numeri e canzoni.

Farlo per le playlist vuol dire attirare gli ascoltatori verso il progetto completo.

Ma se vi sembra un sacrificio dell’integrità artistica, allora non serve: al primo posto resta costantemente la propria coscienza. Con quella ci fai i conti, molto più dei sogni.

I generi però stanno diventando una cosa del passato.

Nelly e Tim McGraw sono l’esempio che fornisce DIYMusician, portale americano per chi sta provando a sfondare in questo settore: entrambi potrebbero essere stati i primi a fare un crossover hip-hop/country in cima alle classifiche mainstream.

Di appena due anni fa l’esempio di Lil Nas X, che ha battuto record su record.

gatekeepers dei Grammy Awards non erano d’accordo sul fatto che “Old Town Road” fosse ammissibile per la classifica Hot Country di Billboard, il genere originariamente elencato nei suoi metadati (tag).

lilnasx

Eppure, non è stato sufficiente a impedire alla canzone di essere l’eterna numero uno.

Va riorganizzata la musica, quindi? Oh, “Old Town Road” è un esempio. Ed è un esempio che spunta molte caselle della musica country, contemporaneamente però “fornisce un groove hip-hop su un campione dei Nine Inch Nails”.

Ci sono insomma un sacco di casi simili nelle classifiche delle canzoni country, allora perché questi artisti non vengono esaminati altrettanto pesantemente? La risposta sta nella cultura.

Gli artisti comunque stanno prendendo più rischi. Lil Nas X tocca sempre più stili.

Tyler, the Creator e nuovi pop singers hanno iniziato a occuparsi di cultura e soprattutto di politica.

La cultura che poi è il sale della musica, specialmente nell’hip-hop, si fa indicatore di dove stia andando questo tipo di industria: gli omaggi sono partiti dai Bowie, dai PJ Harvey.

Aspettatevi, insomma, che vengano abbattuti altri confini stilistici.

Anche perché gli anni Ottanta sono tornati a tutti gli effetti.

Abbiamo osservato la tendenza al rialzo del funk e dei groove radicati nell’industria e quest’anno tornerà ad abbracciare completamente musica che quarant’anni fa avrebbe avuto un mega successo.

Prendiamo anche la scena italiana: tra i pezzi più suonati dopo la l’iniezione di Sanremo c’era Andrea Laszlo De Simone con “Vivo”. Canzone che Tenco avrebbe interpretato magistralmente e portato al primo posto della classifica, naturalmente ai suoi tempi.

Questo accade grazie – in gran parte – alla cultura pop, ai riverberi giganti, ai classici synth analogici che tornano a meritare i riflettori.

Gli artisti giovani dovrebbero cavalcare quest’onda o è un rischio troppo alto? Vale la pena considerare questo: il suono può sempre modificarsi e avvicinarsi a ciò che è caldo, però allo stesso tempo serve restare fedele alle proprie idee.

L’industria musicale premia la diversità ora più che mai.

Prendete nota di pop star come The Weekend, Billie Eilish, Charlie Puth. Hanno sviluppato un’affinità per lo stile, ma hanno un suono caratteristico.

Gli anni Ottanta sono sperimentazione, non un ritorno a quel suono.

Capitolo vendite: quelle fisiche sono in calo.

E se c’è una voce che urla “azione” in questa lista, ecco la prima: occorre caricare le proprie canzoni su Spotify e Apple Music. Subito!

Nel Mid-Year Report di Nielsen, lo streaming ora rappresenta il 78% del consumo di musica. Il vinile continua a vedere una rinascita di popolarità, con un aumento del 9,6% rispetto all’anno precedente. Considera il bundling di CD e vinili, oltre al merch.

Distribuire la musica online oggi non potrebbe essere più facile. Nulla da perdere e tutto da guadagnare.

Anche perché la tecnologia sta cambiando rapidamente pure la promozione della musica (e ci arriveremo presto).

Dunque, se ti sembra che le ultime piattaforme, tecnologie e gadget siano tutti difficili da seguire, è perché lo sono.

I modi in cui scopriamo e consumiamo musica stanno cambiando ogni giorno.

Il live streaming è il punto focale, in questo senso.

YouTube esiste da molto tempo e rimane il re dei contenuti video. Tuttavia, mentre la piattaforma diventa sempre più satura e commercializzata, i creatori di contenuti hanno sete di connettersi con i loro fan a livello personale.

E’ qui che entrano in gioco i siti di live streaming come Twitch e Mixer.

twitch

Più comunemente conosciuto per lo streaming di videogiochi, Twitch è la casa di musicisti e artisti di tutte le dimensioni.

Che tu abbia appena iniziato o che tu sia il peso massimo tra gli streamers, puoi connetterti con i fan che sono impegnati e sostengono il lavoro fatto in tempo reale.

Gli spettatori possono diventare super fan e legarsi per gli anni a venire.

Sì, si può dire che questo sia il momento migliore per essere un musicista.

Indovinare le tendenze può farvi sentire stressato o ottimista; guardare troppo al mainstream e cercare di anticipare la curva può scoraggiare molti artisti, ma occorre ricordare questo: anche le star che guardate ora erano una volta negli stessi panni.

Non c’è poi così tanto da preoccuparsi troppo di dove sta andando l’industria musicale.

Il lancio di un disco: la comunicazione degli esperti

Per capire come ci si muove nella promozione di un disco, abbiamo intervistato una delle agenzie di comunicazione più importanti del panorama musicale: “Parole & Dintorni srl”.

Per capirci: cura la comunicazione e l’ufficio stampa dei progetti di Sony Music Italy-Repertorio internazionale, di Warner Chappell Italia, del CPM Music Institute.

Ed è stata fondata nel 1990, e ancora oggi diretta, da Riccardo Vitanza.

Dunque, come e quando si inizia? Come si scelgono eventi, ospitate e firmacopie?

Vitanza sceglie il classico iter, step by step:

“La comunicazione di un prodotto discografico inizia quando sta per essere pubblicato e messo sul mercato. L’ufficio stampa deve quindi studiare una strategia affinché il prodotto arrivi alle persone giuste, attraverso i canali giusti, e ottenga la maggior visibilità possibile”.

Ogni artista fa chiaramente storia a sé, anche perché non c’è solo l’agenzia di comunicazione a seguirlo:

“Per quanto riguarda eventi ed ospitate solitamente se ne occupa chi lavora nella promozione radio e tv, i firmacopie invece sono gestiti dall’etichetta discografica. Noi, in quanto ufficio stampa gestiamo i rapporti con la stampa, organizziamo interviste, conferenze stampa, facciamo realizzare articoli o recensioni”.

Tutto chiaro. Poi, il cambio di rotta causa pandemia:

“Per noi sono cambiate le modalità, ci siamo adeguati e attrezzati e le piattaforme web, che nell’ultimo anno sono diventati i mezzi più utilizzati nel mondo, hanno invaso anche la nostra quotidianità lavorativa: abbiamo trasformato le conferenze in video-conferenze e le interviste in video-interviste, un modo alternativo per veicolare comunque le informazioni e promuovere nuove uscite”.

La promozione, dunque, si è fatta digitale in tutto e per tutto.

P&D spiega inoltre la figura dei distributori digitali, che materialmente caricano il lavoro sulle piattaforme sotto stretta supervisione dell’etichetta discografica.

E la comunicazione?

“Sicuramente c’è una grande attenzione e un forte lavoro su queste piattaforme digitali, soprattutto per un certo tipo di artisti con un pubblico giovane e molto presenti sui social network. Noi a livello digital lavoriamo con le testate web o con le pagine ufficiali delle testate sui social network, tutto ciò che riguarda il digitale è un lavoro in continua innovazione ed evoluzione e a noi non resta che stare al passo con i tempi e cercare di anticiparli, cercando di trovare metodi sempre nuovi di interazione”, le parole di Vitanza.
Ogni strategia è decisa di concerto – ed è proprio il caso di dirlo? – con l’artista, “sempre messo al corrente della nostra strategia di comunicazione”.

Prima di essere messa in atto, infatti, viene approvata dal team di lavoro e il piano si modella sui desideri e sulle esigenze dello stesso artista, compatibilmente con gli obiettivi di comunicazione preposti al progetto.

“Nella riunione preliminare con il team al completo per stabilire tempi e obiettivi, da professionisti della comunicazione spieghiamo quali scelte promozionali possano giovare maggiormente al progetto e quali meno. In definitiva l’artista ha voce in capitolo sulla propria promozione, ma sempre all’interno di un dialogo in continuo aggiornamento con il suo ufficio stampa”.

Previsioni e obiettivi

Immaginate di essere nell’autunno del 2019, pronti a un altro inverno in attesa di un’altra primavera e poi la pace dell’estate. Ignori di tutto ciò che il mondo avrebbe riservato a se stesso.

Ecco, tutti quei ragionamenti fatti sulla vita e su ogni suo particolare – compresa la musica – sono stati spazzati via dalla più drammatica pagina degli ultimi decenni.

Ogni discorso è stato mutato, sradicato, rivitalizzato o anche concluso. Tutto, insomma, è stato rimesso in discussione. E ciò è successo pure con le canzoni.

Fino a quei giorni, la musica si stava allargando e stabilizzando, regolando e armonizzando. Con la proliferazione degli smartphone e dei servizi di streaming, il copyright si stava radicando in Asia, America Latina, Africa.

Anche YouTube aveva inaugurato il nuovo decennio con una confessione inaspettata: la sua società madre, Alphabet, ha finalmente ammesso quanto scremato in pubblicità.

15 miliardi di dollari nel 2019: era il doppio delle entrate di Spotify, eppure stavano pagando solo un misero 7% ai proprietari dei copy.

Un inizio sfavillante e un prosieguo nelle nostre prigioni più o meno dorate.

In ogni caso, siamo ancora verso un boom.

Ed è stato un arrancare solitario dai primi blocchi del marzo 2020.

Ma mentre giriamo verso il primo quarto di 2021, la notizia incoraggiante è che, per quanto il Covid sia stato catastrofico per i concerti e i festival, la crescita sta ancora avvenendo senza sosta nell’area che rimane il driver più vitale della salute del sistema e delle prospettive economiche: l’industria discografica.

Il 2020 è stato un altro anno di grande successo per le piattaforme di streaming, sorprendentemente buono per le etichette, date le condizioni estreme nelle quali hanno dovuto operare.

Nel settembre 2020, un’incredibile cifra di 400 milioni di persone ha sottoscritto un abbonamento per la musica in streaming. Sono quasi 100 milioni in più rispetto al 2019.

E la musica live? C’è una speranza. Una speranza realistica. Qualcosa nel mercato si sta muovendo e lo sta facendo alla grande.

Nel maggio 2020, Goldman Sachs ha effettivamente ravvisato come il 25% delle precedenti proiezioni di un imminente boom delle musiche ora prevedano che i tre settori principali (live, registrazioni ed editoria) raddoppieranno le proprie dimensioni fino a 131 miliardi di dollari entro il 2030.
Faremmo bene a prendere l’esattezza di questi numeri con un pizzico di sale, ma le tendenze al rialzo sono irreversibili.

L’anno si è persino concluso con il parlamento britannico che ha condotto un’inchiesta sui meccanismi interni dell’economia della musica digitale.

Ecco, tutti questi modelli sono di buon auspicio per i musicisti, per gli autori di canzoni, per i produttori, per i manager, i pubblicitari e i promotori.

Ciò significa che, in termini reali, nonostante locali e festival bloccati, i flussi di royalties sono ancora in aumento, le dimensioni del pubblico hanno continuato a crescere e le etichette stanno continuando a rilasciare nuovo materiale.

Date le migliaia di artisti che non vedono l’ora di tornare per strada, dati i milioni di persone che soffrono da sindrome del palco, possiamo essere fiduciosi:

una volta distribuiti vaccini e combattuto il mostro, il mondo ballerà e canterà su una scala che non si vedeva dal 1945.

Sì, la Seconda Guerra Mondiale è il precedente lampante.

Per capire come il lockdown potrebbe effettivamente dare al business della musica una spinta a lungo termine, nonostante sia temporaneamente terribile per i musicisti e per la musica dal vivo, è utile sapere che una situazione simile è già accaduta prima, esattamente nel tipo di congiuntura in cui ci troviamo ora.

I crolli, l’arrivo di internet, i vinili e il CD. Quante crisi ci sono state? Tante, tantissime.

Negli ultimi vent’anni la storia si è ripetuta con echi inquietanti. Gli eventi del 2020 hanno aggiunto un altro modello familiare agli stessi vecchi cicli.

Ben Swanson, CEO del Secretly Group, il più grande indie americano (segue artisti come Bon Iver, Kevin Morby, Angel Olsen), ha ammesso come “marzo, aprile e maggio sono stati super spaventosi. Avevamo fatto piani per l’apocalisse”.

Subito dopo hanno scoperto come, nonostante le difficoltà di rilasciare e distribuire dischi, il blocco stava intensificando la domanda.

Ogni etichetta che era sopravvissuta ai primi anni 2000 era in grado di adattarsi alla strana normalità.

La Secretly si è allora diversificata in digitale, vinile, editoria, distribuzione, licenze. Il vinile è diventato paradossalmente il futuro e la richiesta musicale non è mai stata così forte. Numeri da record.

Questo strano, nuovo decennio ci chiama allora a guardare avanti e a smettere di rimuginare sul passato.

Tutti abbiamo percepito che un momento come questo sarebbe potuto accadere.

Forse non una pandemia, ma qualcosa di eclatante che ci avrebbe costretto a cambiare i nostri modi di vivere e a riorganizzarci di nuovo.

I giganti del settore l’hanno preso come un segno divino: al centro del pensiero umano potrà esserci proprio la musica.

L’ora più buia è sempre quella prima dell’alba.

I 10 passi da fare per lanciare un album

Ecco, veniamo al pratico. E cioè alle liste di cose da fare.

Esistono una decina di passi da compiere prima di lanciare il tuo album, soprattutto se sei alle prime armi e hai tutte le intenzioni di sfondare in questo mondo.

Bada bene: non è detto che basteranno, ma di sicuro ti forniranno uno sprint e una partenza senza troppi rimpianti.

Pronti?

Si parte, allora. E lo facciamo dalla Copertina: perché tutto inizia dall’immagine che dai di te e del tuo lavoro. Puoi passare dalle mani di un grafico o scegliere una pic che per te vale più di mille parole. Attenzione sempre alla qualità: per essere attrattiva, c’è bisogno che sia alta!

Tre raccomandazioni: dev’essere un quadrato, minimo 1400×1400 e non vanno inclusi link url!

A proposito di impatto: oltre all’immagine, dovrà essere necessario avere un buon numero di canzoni e chiaramente dei titoli accattivanti.

Un po’ di cose da evitare nei titoli: non includere la data di uscita, non inserire il formato tipo (album o EP), non inserire termini specifici di ricerca (punk-rock music). Ah, e occhio alla grammatica!

Titoli preferibilmente brevi e chiari, senza strafare. Anzi: le persone tendono a ricercare sui sistemi di streaming anche il modo in cui si sentono. Un pezzo titolato ‘Noia’, ad esempio, ha incredibilmente più possibilità di essere ascoltato e quindi apprezzato.

Le etichette, per una volta, sono importanti e necessarie: capisci e coltiva il tuo stile, poi cerca di trascriverlo nel sistema di etichettatura dei canali in cui andrai a trasportare i tuoi file.

Usa i sottogeneri, sono importanti e ti danno più spazio!

Infine, controlla i tuoi codici ISRC. E se non sai cosa sono, non preoccuparti: è un codice lungo 12 cifre che identifica cose come il paese di rilascio e l’anno in cui l’ISRC è stato rilasciare. Servono a identificare ogni singola registrazione esistente, un po’ come il codice fiscale.

Una volta specificato al servizio streaming in cosa consiste il tuo lavoro, la tua release verrà identificata.

Dovrai allora preoccuparti solo di avere un campione di musica originale e il giusto formato di file, che dev’essere almeno 44.1kHz – 16bit WAV.

Ah, e in bocca al lupo…

Rimini 2024

18 19 20 ottobre

MARKETERS WORLD

L’offerta scade tra

L’offerta scade tra
Giorni
Ore
Minuti
Secondi
Giorni
Ore
Minuti
Secondi

Iscriviti gratuitamente a Marketers o accedi per utilizzare questa funzione. Riceverai anche 20/80, la nostra newsletter con strategie e notizie di marketing e business.

Ricevi una notifica quando tornerà disponibile il Bundle Metodo Marketers

Ricevi una notifica quando tornerà disponibile il Metodo Marketers