A lezione di Neuromarketing con 2 grandi esperti italiani

Cosa penseresti se ti dicessi che quando paghi un prodotto più del previsto nel tuo cervello si attiva l’area del dolore?

Fino a qualche anno fa sarebbe sembrata fantascienza, ma il neuromarketing l’ha dimostrato.

Questa disciplina, che si è molto sviluppata negli ultimi 20 anni, ci ha permesso di accedere a uno scrigno segreto pieno di tesori da scoprire: il cervello umano.

Capisci che sapere cosa sta davvero provando un cliente mentre compra, vede la tua landing page o guarda un tuo video è un valore aggiunto pazzesco.

In questo post parleremo di neuromarketing insieme a 2 dei maggiori esperti italiani in materia:

  • Laura Pirotta, psicologa e consulente di neuroscienze applicate al mondo aziendale;
  • Andrea Saletti, consulente di neuromarketing applicato al web.

Se vuoi imparare le basi di questa materia e avventurarti alla sua scoperta, continua a leggere. Vedremo:

  • Cos’è il neuromarketing e cosa lo distingue dal “marketing tradizionale
  • Teorie e tecniche del neuromarketing
  • Come le emozioni guidano l’acquisto (emotional marketing)
  • Esempi di neuromarketing applicato.

Sei pronto?

Partiamo.

 

Cos'è il neuromarketing

Il problema delle ricerche di marketing è che le persone non si rendono conto delle proprie emozioni, non dicono quello che pensano e non fanno quello che dicono.

Questa citazione di David Ogilvy, uno dei padri del marketing, rende bene l'idea di quale fosse – e, in parte, è ancora – un grande ostacolo per chi vuole promuovere un brand o personal brand.

L'alto muro recintato della discordanza tra parole, emozioni e fatti può essere abbattuto o, almeno, superato grazie al neuromarketing.

Saletti lo ha definito “lo studio scientifico di come il cervello reagisce agli stimoli di marketing”. Andando ancora più nello specifico, così come ci ha spiegato Pirotta, è l’unione tra marketing, ricerche di mercato, psicologia e neuroscienze”.

Andrea Saletti: Immagina che il marketing sia musica: conoscere le regole della mente equivale a conoscere note, chiavi e tempi, a quel punto comporre la giusta melodia rimarrà sicuramente questione di creatività, ma sarà comunque impossibile che tu possa stonare.

Differenze tra neuromarketing e marketing tradizionale

Il marketing consiste nell’individuazione e nel soddisfacimento dei bisogni umani e sociali.

Philip Kotler definisce così quello che possiamo definire “marketing tradizionale”.

Gli esperti che abbiamo intervistato sono sostanzialmente d'accordo: il neuromarketing è un complemento del marketing.

Se gli obiettivi rimangono invariati – individuare e soddisfare bisogni – a cambiare sono i metodi di individuazione, soddisfacimento e misurazione.

Da metodi empirici, basati su ricerche di mercato, esperienze e intuizioni, si è passato a un metodo più scientifico.

Ma c'è da mantenere quanto ereditato dal passato:

Laura Pirotta: Come avvenne con Freud, che teorizzò qualcosa che fu poi confermato dalle neuroscienze, anche le teorie economiche e di marketing non devono essere necessariamente smentite o considerate inutili. Una cosa deve essere chiara: il marketing non è morto con l’avvento del neuromarketing, ma deve essere in grado di trasformarsi ed evolversi a seguito delle nuove scoperte neuroscientifiche.

L'applicazione delle neuroscienze al marketing ci permette di studiare meccanismi e processi del cervello umano.

La conseguenza naturale è una maggiore efficacia del marketing stesso, intesa sia come costi minori per le aziende che come esperienze migliori per in consumatori.

Ciò perché rende possibile capire cosa succede davvero nella testa delle persone – ricordi cosa diceva Ogilvy?

Andrea Saletti: Uno dei limiti più evidenti di una indagine classica è che i risultati di interviste, sondaggi e focus group non riescono mai a fornire un quadro completo sulla reale efficacia di una esperienza emotiva. Per natura stessa l’emozione è effimera, non ne abbiamo completa consapevolezza, pur sapendo che incide fino al 95% nelle decisioni di acquisto fatichiamo ad averne dati tangibili di misurazione.

Cosa fa il neuromarketing: teorie, tecniche e applicazioni

Come fa quindi il neuromarketing a rendere più tangibili qualcosa di astratto quanto le emozioni? Attraverso tecniche come l'eye tracking e la risonanza magnetica funzionale (fMRI).

La fMRI permette di individuare quale aree del cervello si attivano durante l'esecuzione di una particolare attività.

Il tracciamento oculare, invece, consente di valutare cosa si guarda e con quale attenzione, analizzando dilatazione e contrazione delle pupille.

Saletti ha sottolineato come queste e altre tecniche permettono di:

  • comprendere e spiegare i processi decisionali
  • completare la visione delle dinamiche
  • diminuire i margini di errore per migliorare propri progetti comunicativi.

Emotional marketing: come le emozioni guidano l'acquisto

Il motivo sta nella vera natura dell'essere umano.

La nostra cultura ci ha sempre spinto a pensare all'uomo come un essere razionale, capace sempre di controllare impulsi e reazioni.

In realtà, da un po' di tempo a questa parte, abbiamo capito che le emozioni hanno un notevole impatto sul comportamento umano:

“Il consumatore non è per nulla un pensatore razionale come pensavamo “, spiega Pirotta, “ma è mosso maggiormente da istinto, emozioni e ricordi.

Le emozioni sono proprio il trait d’union tra l’istinto puro (cervello rettile per intenderci) e razionalità (cervello Homo sapiens, come lo chiamo io)”.

Non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano. (Antonio Damasio, “L'errore di Cartesio”).

Cosa significa questa citazione del famoso neuroscienzato portoghese?

Come dice Saletti, “se pensiamo che il modo migliore per convincere qualcuno a fare qualcosa sia impostare una comunicazione principalmente logica e razionale stiamo sbagliando”.

Bisogna pensare a una vendita più che altro come un percorso, traducibile in una serie di stati emozionali che si susseguono (Saletti parla di “emotional journey“).

Applicazioni delle neuroscienze al marketing

L'applicazione delle neuroscienze al marketing non si limita all'aumentare le conversioni.

“All’interno del neuromarketing”, ha sottolineato Pirotta, “ci sono buona parte delle neuroscienze applicate al business che possono essere utilizzate anche dalla forza vendita e dal customer care”“.

Ecco che allora diventa più sensato parlare, come fa Saletti, di neuromarketing per migliorare l'efficacia di:

  • una pagina web
  • un messaggio o annuncio pubblicitario
  • customer experience
  • comportamenti in uno store fisico
  • packaging di un prodotto
  • fruizione di un video.

Andrea Saletti: Deve essere chiaro – e questo lo specifico perché spesso nascono incomprensioni – che questo tipo di approccio non diminuisce l’aspetto creativo di un progetto, ma lo potenzia.

I reparti creativi hanno sempre il ruolo di ipotizzare un messaggio che possa avere un impatto nella vita delle persone. Il neuromarketing interviene nel processo per rendere questo impatto chirurgicamente efficiente.

Esempi di neuromarketing e casi studio: 4 esperimenti e tecniche da conoscere (+ 1 riflessione)

Buona parte dei business di maggior successo hanno sperimentato negli anni l'applicazione del neuromarketing.

Mentre scorri il feed di Instagram, cerchi un hotel per la tua prossima vacanza o visiti un blog hai sotto gli occhi decine di esempi vincenti.

Ci avevi mai pensato? Eccone alcuni che possono aiutarti a essere più consapevole e applicarli, a tua volta, nei tuoi progetti:

Web Design secondo il neuromarketing

Il neuromarketing ha influenzato in maniera decisa il modo in cui i siti web sono progettati:

  • layout
  • colori
  • font.

Le ricerche hanno permesso di certificare che questi e altri elementi modificano la percezione di una persona quando atterra su un sito web.

Laura Pirotta: Ciò che vuole l'utente trovare subito deve essere facilmente visibile e cliccabile appena entra nella home page.

Velocità batte sicurezza: PayPal e Android

PayPal ha usato elettroencefalogrammi per studiare il cervello delle persone mentre guardavano le pubblicità dell'azienda.

Da questi esperimenti hanno notato che la velocità del servizio creava più interessa della sicurezza di PayPal, il tema delle campagne precedenti.

Siamo più interessati ai trasferimenti rapidi rispetto al fatto che i nostri soldi siano al sicuro.

Lo stesso principio, velocità batte sicurezza, è stato usato da Android per entrare in un mercato allora dominato da Blackberry.

Android ha sottolineato la rapidità del proprio software. Oggi Blackberry è estinto.

Ecco perché vediamo pubblicità con aerei, razzi spaziali e Usain Bolt invece di campagne con una solida tartaruga protagonista.

Coca Cola vs. Pepsi

Coca Cola è la cola più popolare al mondo, mentre Pepsi è la storica competitor: c'è chi preferisce l'una, chi l'altra.

Ma perché? La risposta sta nel cervello.

Provate a fare questo esperimento:

  • riempite un numero uguale di bicchieri con Coca Cola e Pepsi;
  • divideteli in due file, da una parte la Coca Cola e dall'altra la Pepsi;
  • fate assaggiare a una serie di persone un bicchiere per lato.

È molto probabile che i risultati vi sorprendano: grandi fan di Coca Cola potrebbero dirvi di preferire la Pepsi.

Tutto cambierebbe se invece sapessero cosa stanno bevendo: il motivo è stato scoperto dal neuroscienziato Read Montague.

Nel 2004 Montague ha pubblicato i risultati di un esperimento simile: la maggior parte dei volontari sottoposti al test, quando non conoscevano la marca della bevanda, preferivano Pepsi.

Tuttavia, dopo che lo hanno saputo, i risultati sono cambiati drasticamente: non solo preferivano Coca Cola, ma la risonanza magnetica funzionale mostrava cosa succedesse nel loro cervello.

Si attivava la corteccia prefrontale mediale, un'area del cervello coinvolta nel processo emotivo.

In sintesi, le persone esprimevano una preferenza basata su ricordi, impressioni e sensazioni legate a una specifica bevanda.

FOMO: la paura di perderci qualcosa

Stiamo bene dentro la nostra famigerata comfort zone. Ecco perché siamo poco inclini a cambiare e abbiamo paura di perdere qualcosa:

  • un'opportunità
  • uno sconto
  • un prodotto.

Gli studiosi hanno dato un nome alla nostra avversione alla perdita: FOMO, cioè Fear Of Missing Out (qui trovi un video esplicativo).

Oggi il 69% dei millenials soffre la FOMO ogni giorno e, probabilmente, lo farà per il resto della vita.

I social network sono un esempio vivente dell'applicazione di questa strategia, ma sono tanti i business che fanno leva su questo principio.

Booking, per esempio, non perde occasione per ricordarci che possiamo fare un super affare, ma purtroppo rimangono solo 3 camere disponibili sul sito.

I limiti etici del neuromarketing

Questi esempi ci portano a fare una riflessione fondamentale per chi si occupa di marketing: qual è il limite?

Nel 2012 Facebook ha manipolato l'umore di 689,003 persone, modificando i contenuti mostrati nel loro newsfeed.

Lo scandalo di Cambridge Analytica, qualche anno dopo, ha aperto serie preoccupazioni sulle stato delle democrazie occidentali.

L'enorme quantità di dati a disposizione di colossi come Facebook, Google e Amazon è sicuramente un motivo di preoccupazione per il futuro.

Ecco perché, in un mondo dove le persone sono così condizionabili, è necessario discutere un'etica del neuromarketing.

Laura Pirotta: Come in tutte le cose, dipende sempre dall’utilizzo che se ne fa. Esattamente come un coltello, utilissimo sin dalla notte dei tempi per aiutarci nella vita quotidiana, può, però diventare un’arma pericolosa nelle mani sbagliate.

Tutto è riassumibile con le parole di Saletti, che nota bene come il confine tra persuasione e manipolazione sia molto labile:

“La persuasione è la capacità di influenzare il prossimo rispettando il principio Win-Win: vinco io e vince l’altro.

La manipolazione avviene quando è solo una parte ad ottenere vantaggio, ad esempio mentendo o omettendo informazioni determinanti alla scelta, ancora di più facendo leva su sensi di colpa”.

In sintesi, il fine della persuasione è etico: lo scopo è dare valore aggiunto a noi, ma anche al prossimo.

Andrea Saletti: Un consiglio che posso darti per capire se ti stai muovendo eticamente è chiederti “se stessi tentando di influenzare una persona esperta quanto me dell’argomento che sto promuovendo, lei riterrebbe corretto e onesto tutto ciò che sostengo?”.

Studiare il neuromarketing: 5 libri da leggere per iniziare

Come ci ha spiegato Pirotta, chi vuole studiare neuromarketing deve conoscere:

  • cervello umano
  • marketing
  • psicologia.

Per capirci qualcosa in più, abbiamo scelto 5 libri da leggere:

  • Neuromarketing – Martin Lindstrom
  • Marketing emozionale e neuroscienze – Francesco Gallucci
  • Psicologia della comunicazione e neuromarketing – Vincenzo Russo
  • Strategie e tattiche di neurmarketing – Laura Pirotta
  • Neuromarketing e scienze cognitive per vendere di più sul web – Andrea Saletti

Conclusioni

Abbiamo finito.

Se vuoi iniziare ad applicare il neuromarketing ai tuoi progetti personali, ti consiglio di iniziare a leggere i libri consigliati.

Il libro di Lindstrom è una pietra miliare internazionale sull'argomento, mentre Gallucci e Russo sono 2 tra i pionieri italiani.

I testi di Pirotta e Saletti, infine, ti daranno gli strumenti giusti per iniziare a mettere in pratica ciò che avrai imparato.

Tutto chiaro?

Fammi sapere nei commenti come pensi di sfruttare i concetti che abbiamo discusso sui tuoi business.

Felice Lanzaro
Copywriter non convenzionale, esploratore e sperimentatore. Do vita a testi da leggere, toccare, sentire per coinvolgere il lettore in storie appassionanti. Nel tempo libero leggo, viaggio, vivo.
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